sabato 8 settembre 2007
Commento
Risposta
Tendo a non condividere le profezie nere. L’idea della catastrofe finale ci percorre da almeno cinquanta anni, il timore dell’atomica, poi l’incidente nucleare, ora la crisi energetica.
La fine arriverà sicuro, ma in tempi cosmici, ha più senso riflettere su se stessi: la fine è molto più vicina.
Vedere un futuro nero è parte della tradizione religiosa: il paradiso è perduto, il futuro sempre peggiore, ci sarà l’apocalisse finale. E’ anche parte della tradizione greca, per cui col tempo le cose peggiorano: c’è prima l’età dell’oro, poi dell'argento, quella del bronzo, l'età degli eroi e quella del ferro.
Sono figlio invece dell’illuminismo, a cui mi lega una “ottusa” (?) fede nel progresso, e in questo sono in buona compagnia: sia il comunismo che il pensiero liberale sono figlie dell'illuminismo, ribaltano il senso del tempo: credono che le cose andranno meglio. Se però dovesse rivelarsi vera la profezia di Attilio Folliero, credo che la drastica riduzione delle fonti energetiche non avverrà in maniera indolore: non credo esistano meccanismi giusti di regolazione internazionale nei momenti di crisi, vince il più forte.
A quel punto l’importante, per me europeo, è essere dalla parte del più forte. Lo dico perché spesso non ci rendiamo conto di cosa significa perdere una guerra: e io non voglio perderne nessuna.
Se la guerra fredda l’avessimo persa noi, ora mia sorella si prostituirebbe a Mosca, i miei professori di diritto farebbero gli operai a Varsavia, sulla costiera amalfitana scaricherebbero i rifiuti atomici di Kiev. Questo è il prezzo che hanno pagato i paesi dell’est dopo Berlino e Gorbaciov, quest’analisi però preferiamo non farla. Scusate il cinismo.
Il comunismo, quando sarà, sarà conseguenza di altri fattori, non della crisi energetica.
Commento di BRIAN DILLAN
briandallan@alice.it
Commento di Attilio Folliero sul battaglione socialista
La stella rossa? E' la prima volta che sento parlare di questa stella rossa. Il battaglione che frequento io non ha nessuna stella.
Il primo compito: difendere le riforme della Costituzione (non discuterla), e ovviamente contribuire alla nascita del Partito Socialista Unito.
Difenderla e non discuterla?Guarda che stiamo discutendo articolo per articolo; si prende nota delle osservazioni e si consegnano al Parlamento che in ultima istanza potra tener conto o no.
Esempio riguardo il cambio del nome io ed il mio gruppo siamo favorevoli a cambiare il nome di caracas da "santiago de leon de Caracas" (il vero nome attuale di caracas) in "Caracas cuna del libertador y reina del ... "però abbiamo chiesto di eliminare il termine regina (non vogliamo nessun riferimento a re e regine).
Domani sabato alle ore 14 in Piazza Candelaria si riuniranno tutti i battaglioni del quartiere Candelaria (dove vivo io) per discutere due articoli (il 360 e 361); interverra il presidente del parlamento Cilia Flores. Non è come dici tu che il compito è difendere la riforma e non discuterla; anzi ...
Non è stato MVR a portare al potere Chavez, ma il polo patriottico (od un nome simile); MVR venne dopo quando si fece la riforma della costituzione; e come dice lo stesso nome era il movimento per la riforma della costituzione. Chavez vince le elezioni di dicembre 1998; quando arriva al governo costituisce il movimento V repubblica per cambiare la costituzione. Era chiaro che avrebbe puntato al socialismo o al comunismo; questo è il suo vero obiettivo. A che serviva MVR; al limite arebbe dovuto creare un movimento per la sesta repubblica.
Rispetto al passato, alle altre "rivoluzioni" la differenza sta proprio in Chávez che forte delle esperienze passate non ha fatto gli stessi errori. Esempio fondamentale: in altre epoche avrebbero abolito la proprieta privata dei mezzi di produzione, che è l'elemento fondamentale nella distinzione di uan societa socialista da una capitalista o capitalista di stato.
Secondo me chavez è un grande stratega comunista; anche quando negava di essere comunista (ancora nel 2003 lui negava di essere comunista, anzi fino al 2004), io ho sempre pensato che negarlo facesse parte della strategia ... Per me chavez è un marxista convinto ed anche se ultimamente ha dovuto dire quello che ha detto (il dogmatismo del marxismo, lui non è convinto di questo; ha dovuto dirlo; una sorta di marcia indietro perché si è reso conto di aver corso un po' troppo) fa parte della sua strategia;
Io penso che il mondo sta andando verso una grande crisi (speriamo sia reversibile) ... la crisi non arriverà quando finira il petrolio ma quando la produzione mondiale raggiungera il tetto e quindi inizia l'inversione; la nostra società tecnologica non ha nessuna altrenativa al petrolio (nucleare, eolica, biocombustibili, solare, idrogeno ...) non c'è nessuna alternativa al petrolio, neppure combianando tutte le forme possibili.
Quando fra poco (massimo 5 anni, forse ancora qualche mese in più, grazie alle ultime possibili scoperte di petrolio nel sud della çibia e zone limitrofi) e poi inizierà una grande immensa crisi mondiale. La crescente richiesta di petrolio da un lato e dall'allro l'offerta che inizierà a diminuire condurrà ad una enorme crisi; il problema sorgerà non quando il petrolio finisce ma quando si invertirà la curva offerta/domanda; quando la produzione tocca il tetto massimo e l'offerta inizierà ad essere inferiore alla domanda; e basterà che sia solamente di 5% 10% inferiore per creare la crisi, crisi mondiale.
O saremo tutti comunisti o sarà la fine del mondo. Caro Piero non c'e alternativa. Purtoppo siamo arrivati al punto (o siamo prossimi) in cui i tempi della storia coincideranno con i tempi della vita umana, ossia sono avvenimenti a cui assiterà l'attuale generazione. Siamo alla vigilia della piu grande crisi che ha mai vissuto l'umanità in tutta la sua storia. La nostra società si basa tutta sull'energia, il giorno che inizierà a diminuire l'offerta di energia (e questa volta è materialemnte diminuzione dell'offerta e non dovuta a crisi politiche o momentanee) non si avrà solo un innalzamento dei prezzi, ma qualcosa di ben più grave. Le societa saranno alla disperata ricerca di energia, per cui tutto sarà possibili. Riesci ad immaginare una societa statunitense per esempio senza energia? Una multinazionale che non è in grado di assicurare l'energia al funzionamento di un grattacielo? La crisi sarà a catena e rovinosa.
Chávez sa bene questo, cosi come sa bene altre due cose:
- non è possibile il socialismo in un solo paese;
- l'attuale produzione venezuelana che va in crisi per motivi futili (vedi scarsa produzione di carne e altri beni di prima necessita); ovviamente Chávez e il governo sapeva benissimo che la scarsità di carne (poi uova e pollo; la gente non trova carne quindi si riversa sul polo che ovviamente sparisce presto) non era dovuto al sabotaggio, all'accaparramento, che ci sarà pure stato, ma non era influente a determinare la crisi che abbiamo vissuto; il problema era la mancanza di produzione sufficiente. L'apparato produttivo venezuelano èdel tutto insufficiente; questo èil punto debole della rivoluzione venezuelana.
Allora se l'attuale produzione non è sufficiente, cosa sarebbe successo se avesse decretato l'abolizione della proprietà privata? Non una guerra civile perché i proprietari sarebbero stati espropriati delle proprietà ma un aggravarsi della crisi di produzione. Il grande merito del sistema capitalistico è stato quello di aver incrementato i mezzi di produzione; la rivoluzione russa fallisce perchè è in un paese dove il capitalismo non era ancora sviluppato; cosi sarebbe fallita la rivoluzioen venezuelana. Io sono di quei marxisti che asseriscono che il capitalismo non è ancora del tutto sviluppato; nel mondo ci sono ampie zone di sviluppo (dallo stesso Latinoamerica all'Africa all'Asia);
Oggi, 2007, non credo sia possibile una rivoluzione comunista; però una rivoluzione comunista sarà possibile e necessaria fra uno, massimo due o tre lustri. Capitalismo maturo o no, sara necessaria. Non si tratta di essere pessimisti, ma realisti. L'assioma è semplice: la società nostra necessita energia, fornita nelle quantità necessarie unicamente dal petrolio; il giorno che l'offerta di petrolio sara inferiore alla domanda (e realmente inferiore, non una inferiorità provocata per far risalire il prezzo o perche si ferma la produzione per qualche guerra o sciopero o altro) il mondo andrà in tilt e puoi ben immaginare cosa potranno fare le società per sopravvivere. A quel punto si dovra intervenire.
Caro Attilio, tre precisazioni:
1) Quello della stella rossa sui luoghi d'assemblea è scritto sul sito ufficiale del partito, qui2) E' vero che Chávez andò al potere con una coalizione , ma il Mvr era senza dubbio era il partito più forte, e poi come erede del vecchio movimento bolivariano, è la filizione diretta di Chávez. E' nato nel 1997, prima delle elezioni.
3) Riguardo alla discussione, hai ragione...sono convinto che si discute la Costituzione, ma nelle sue parti essenziali i militanti vogliono difenderla, dico così perché la costruzione del consenso implica che i militanti "d'avanguardia" (cioè quelli che hanno più strumenti intellettuali e retorici) la difendano dagli attacchi e la trasmettano alle masse (anche ascoltandone i dubbi o le proposte, perché no).
Militarizzare le masse?L'equivoco socialista
Il socialismo doveva radicalizzarsi, a prometterlo fu Chávez il 3 dicembre, pochi minuti dopo la vittoria elettorale. Molti settori dell’opposizione non ci credono, più che l’indottrinamento di stato, preoccupa l’inflazione, che è ancora troppo alta, la svalutazione della moneta, le difficoltà ad importare, per il controllo cambiario. Preoccupa anche l’insicurezza, che rende il Venezuela uno dei paesi più pericolosi in America Latina.
In realtà c’è un difetto di fondo nell’analisi sul socialismo, lo si considera come prassi dell’impoverimento, lo si confonde con la critica alla società dei consumi (cioè al consumismo). Se poi la critica alla società dei consumi sia stata fatta propria dalle filiazioni comuniste nei paesi occidentali, è dopo aver perso negli anni ’70 la sfida con il capitalismo, molto più capace, dopo gli anni ’60, di ristrutturare la propria economia sulle esigenze di un mercato diversificato. Lo statalismo economico ha retto finché c’era da sviluppare le imprese strategiche (energie, infrastrutture), o di fornire beni primari a tutti: era capace di sfruttare le economie di scala tanto quanto i paesi capitalisti. Ma dopo aver fornito una maglia e una giacca a tutti che fare? La spinta propulsiva economica capitalista ha portato all’ estrema diversificazione del prodotto (e del servizio). La centralità dal produttore si sposta al consumatore, va sedotto e coccolato sempre di più. Lì il socialismo reale fallisce, perché incapace di inserirsi nel meccanismo prodotto/pubblicità/desiderio. Ma quel meccanismo è necessario affinchè chi avesse una maglietta ne desiderasse un’altra diversa, e chi producesse magliette continuasse a venderle, un’ottica che l’impresa di stato non poteva né sapeva includere. I paesi socialisti si sono bloccati dopo aver fornito un minimo a tutti, quelli capitalisti no.
In realtà il socialismo delle origini non ha mai pensato di sedurre le masse promettendo meno consumi, anzi. Da lì la sua pericolosità per le democrazie liberali non democratiche, se poi le masse si sono spesso impoverite è per il fallimento del socialismo stesso che non aveva saputo reagire ai cambiamenti del mercato. Ecco perché di per sé “il lusso” (come sintomo dell’aumentata capacità del consumatore) non è in contraddizione con il socialismo ma con la religione cattolica, di per sé votata all’austerità.
LUCIANO PAVAROTTI (1935-2007)
Giuseppe Cacciatore parla del affaire Venezuela
Pubblichiamo un commento che ci ha inviato il professore Giuseppe Cacciatore, filosofo salernitano, apparso già su Liberazione. Pochi giorni fa Cacciatore era stato attaccato a sinistra per alcune sue dichiarazioni troppo poco "chaviste". Meglio così, ingenuo sarebbe stato abbandonarsi a facili entusiasmi.
Ciò che più stupisce nella fioritura estiva di articoli su Chávez nella cosiddetta stampa italiana d'informazione è proprio la disinvolta mancanza di informazione e di obiettività nei commenti e nelle analisi. Grossolane falsificazioni si alternano a visioni apocalittiche della realtà politico-istituzionale del Venezuela, per non parlare dei "servizi" sulle stravaganze del Presidente. Un classico esempio è fornito, purtroppo, dal "Corriere della Sera", il quale dedica articoli durissimi al pericolo della nuova dittatura rossa. Ci si aspetterebbe però che la perentorietà dei giudizi venga suffragata da dati di fatto e da fonti accertabili. Nulla di tutto questo! Si pubblica invece una pagina intera che racconta – sullo stile dei due maggiori quotidiani del Venezuela, "El Universal" e "El Nacional", che continuano indisturbati a gettare valanghe di contumelie sul "loco" che governa il paese – di alcune "stranezze" del Presidente: la proposta di allungare di trenta minuti l'ora solare, di cambiare la posizione del cavallo sulla bandiera nazionale, di imporre il saluto rivoluzionario ai militari. Al lettore italiano si fa credere:
a) che della Costituzione venezuelana (da lui stesso proposta e fortemente voluta) Chávez sta facendo strame introducendo modifiche totalitarie;
b) che per effetto di queste modifiche si è abolita la proprietà privata;
c) che ormai non esiste più la libertà di dissenso e di stampa;
d) che le risorse petrolifere del paese servono solo ad alimentare una politica populista.
Su quest'ultimo punto, tra l'altro, nessuno si è presa la briga di dire che una consistente parte dei proventi petroliferi, invece di prendere il volo verso le banche estere dei corrotti politici dell'era pre-Chávez (compreso Pérez all'epoca vice presidente dell'Internazionale socialista), sono stati investiti nei programmi di politica sociale, nella sanità, nell'educazione, nella costruzione di centinaia di centri polifunzionali di quartiere (parlo dei ranchitos e non dei quartieri ricchi) dove sono stati costruiti ambulatori e cliniche, campi sportivi, mercati popolari a prezzi controllati, cooperative di lavoro, asili.
Insomma tutto ciò che il benefico spirito liberale capitalistico che ha governato quel paese fino alla fine degli anni 90 non ha mai concesso. Ma la cosa veramente grave è che queste falsità vengono ripetute da un sottosegretario agli esteri, Vernetti, che parla anche lui di ormai instaurata dittatura e di lesione di diritti democratici fondamentali. Ci sarebbe da chiedersi di quali fonti disponga il rappresentante del governo che esprime giudizi così insultanti e avventati, al limite della rottura diplomatica.
Dunque, è bene che si chiariscano e si precisino, nei limiti di un articolo di giornale, alcuni dati di fatto. Il nostro paese (anche a prezzo di vite umane) sostiene governi di precaria stabilità democratica con l'argomento che libere elezioni li hanno legittimati, vedi Iraq e Afghanistan. Lo stesso non vale per un governo e un presidente che dal 1999 ha vinto oltre 10 tornate elettorali tutte avallate dalla presenza di osservatori internazionali e tutte dichiarate pienamente legittime dall'UE e dalla Organizzazione dei paesi americani. L'argomento forte usato adesso è che Chávez vuole stravolgere la Costituzione. Vediamo, allora, nel dettaglio i passaggi fondamentali delle modifiche proposte (che riguardano 33 articoli su 350): abolizione del limite di una sola rielezione per il presidente; procedure e forme di decentramento dei poteri dello Stato attraverso strutture di democrazia partecipativa che hanno al centro le municipalità alle quali – ma di questo nessuno parla in Italia – la riforma costituzionale prevede di affidare il controllo e la gestione delle risorse pubbliche, dell'acqua, del gas, dell'energia, delle risorse ambientali e turistiche del territorio. Nelle proposte di riforma invano si cercherà quello che i giornali "indipendenti" italiani hanno disinvoltamente scritto: cioè abolizione della proprietà privata. Essa, anzi, viene garantita e sancita da quelle norme della Costituzione del 2000 che restano immodificate, ad esse si aggiungono articoli che prevedono forme di proprietà cooperativa e comunale (secondo, anche, la vecchia tradizione delle comunità indie e contadine defraudate e sopraffatte nei secoli dalla civiltà liberale occidentale). E che cosa c'è di comunista, rivoluzionario e dittatoriale nella norma, che ora si propone di introdurre nel testo costituzionale, dell'orario di lavoro a 36 ore? Cioè di qualcosa che il mondo occidentale ha da tempo previsto e normato?
Ma veniamo al punto cruciale: il socialismo del XXI secolo di cui tanto parla Chávez è veramente configurabile come antidemocratico e totalitario? E si può definir tale, quando è prevista una procedura di revisione costituzionale che impone ben tre voti del parlamento e un referendum confermativo finale? E in quale altra Costituzione del mondo è prevista la possibilità che a metà mandato si possa chiedere un referendum di revoca del Presidente e di tutte le cariche elettive? (cosa peraltro già avvenuta con elezioni vinte da Chávez ed anch'esse considerate legittime e corrette da tutti gli osservatori internazionalie persino dal candidato sconfitto). Se questa norma fosse stata in vigore negli Usa, ora Bush se starebbe tranquillamente a casa. Che si possano avanzare perplessità sull'abolizione del limite dei mandati è più che legittimo ed io sono tra coloro che le manifestano. Ma se tutto verrà confermato da un voto popolare, bisognerà, come per altri casi analoghi si è fatto, rispettare la volontà democraticamente espressa. O si farà un'eccezione per quello che già viene definito capofila degli "Stati Canaglia"?
Se, in conclusione, le analisi di pubblicisti e politici italiani fossero maggiormente improntate alla serietà e all'obiettività si potrebbe, io credo, discutere e approfondire – anche senza tacere di dubbi e di possibili critiche - un originale caso, che non ha precedenti nel continente latinoamericano, di socialdemocrazia radicale. Il problema, cioè, non è la rivoluzione marxista che non è all’ordine del giorno, né l’espropriazione della proprietà privata, ma più semplicemente l’originale tentativo, per quanto ancora incerto e non sempre ancora chiaro in alcuni suoi aspetti, di ridare una reale funzione e un reale potere ad una forma di democrazia dei diritti sociali e politici del popolo venezuelano.
Matthew Shortt libero
Per la modalità pacifica del rilascio, sembra sia stato pagato un riscatto. Il giovane Matthew è una delle tante vittime di sequestri che sono in aumento verso le zone di frontiera, soprattutto nello stato Zulia e nel Tachira, mentre a Caracas continuano a imperversare i Secuestros Express, durano poche ore ma spesso possono raggiungere alti livelli di violenza, visto che vengono messi in atto da delinquenti improvvisati.
Secondo la rivista Climax, quest’anno il Venezuela potrebbe superare la Colombia per numero di sequestri compiuti, questo se il trend dei primi mesi dovesse confermarsi. Oramai sono stati superate le 150 vittime, un numero che si raggiunge se si incrociano i dati di Fedenaga (federazione dei ganaderos) con quelli della polizia.
Il Venezuela quest’anno potrebbe arrivare a trecento delitti denunciati, contro i duecento in Colombia, ma va ricordato che per ogni caso che viene alla luce almeno un altro caso viene occultato. Molti familiari preferiscono contrattare, è sbagliato: le organizzazioni criminali si rafforzano, si nutrono della paura della gente, ci campano sopra. In Italia i sequestri a scopo d’estorsione, erano legati all’organizzazione sarda dell’Anonima Sequestri. Nel 1966 ci fui il boom, erano così organizzati da permettersi di rapire nel 1979 il noto cantautore Fabrizio de Andrè, autore della Guerra di Piero. L’Anonima sembrava invincibile, eppure fu vinta: ci volle però volontà politica e anche molta severità, tra gli strumenti legislativi ve ne fu uno molto discusso: “il blocco dei beni del familiari della vittima”. Ero una strumento che impediva ai familiari, spesso giustamente disperati, di pagare il riscatto. Il blocco in un primo momento veniva considerato uno strumento inumano, un’invasione dello Stato nella sfera di libertà del singolo, ma si rivelò l’arma fondamentale per estirpare alla radice il problema. Anche in Venezuela la nuova legge contro i sequestri dovrebbe prevedere questa misura, ma è momentaneamente impantanata in parlamento. Ricordiamo che l’unità di Crisi della Farnesina ha inviato in Venezuela un esperto antisequestri permanente, è un caso unico al mondo nelle rappresentanze diplomatiche italiane. Si trova qui da 4 anni, anche se mantiene un basso profilo visto il compito delicato che gli spetta.
La funzione è duplice 1)di prevenzione, è stato pubblicato anche un cd e un manuale, 2) di fare da raccordo tra i familiari e la polizia locale. Non ha però nessun potere investigativo, è bene non dimenticarlo: in Venezuela ci sono corpi di polizia dedicati alla lotta a questo tipo di criminalità. Bisogna averne fiducia.
Solitamente i sequestratori si rivolgono a persone con redditi alti, ma spesso non compiono uno studio specifico sulla vittima, si lasciano guidare dalle apparenze. Tutti sono potenzialmente a rischio, in qualsiasi parte del paese. Per prevenire allora è meglio non ostentare troppo, e cercare di seguire piccoli consigli tipo cambiare percorso spesso, oppure montare un sistema Gps sull’automobile (la spesa è minima), ma soprattutto stare uniti. Gli italiani in Venezuela lo stanno facendo, a fine maggio è nato il Fivavis, l’associazione che riunisce le vittime dei sequestri. L’obiettivo è essere vigili, esser presenti, trasmettere la propria esperienza. Il problema può essere risolto anche in Venezuela, così come si sono fatti passi avanti in Colombia, è importante però non sottovalutarlo. Chi poi viene liberato dovrà superare il trauma, per evitare di conviverci per sempre. Un mese in prigione, spesso in una semplice tenda, dormendo su una tavola di legno, è un’esperienza purtroppo indimenticabile. La paura, proprio e soprattutto dei familiari, marchiano a vita. L’associazione Fivavis ha però anche questo compito, una sorta di terapia di gruppo che serve a trasformare la paura in forza, in spinta propulsiva affinché nessuno soffra ancora
Perché tanta sporcizia?
Perché gettare le bottiglie sulla spiaggia? Ci sono poche cose che riescono a squalificare davvero, una di queste è mancanza di rispetto verso gli spazi pubblici, aggravato se ti trovi in un paradiso tropicale. I cayos di Morrocoy sono l’ideale di vacanza ai tropici, isolette bianchissime, acqua cristallina e palme in riva al mare. A buon mercato, sono meta del turismo locale popolare, un vero paradiso che giustamente è stato dichiarato parco nazionale, verso cui bisognerebbe prestare attenzione. Nulla. Lo spettacolo è indecente, mortifica (e lo dico con dispiacere): su questo malcostume la rivoluzione non ha inciso, c’è un atteggiamento troppo permissivista che declina la libertà in forme a volte perverse, non si possono assecondare gli istinti negativi.
In Venezuela tutti bevono birra sulla spiaggia, fin qui nulla di male, ma le bottiglie vengono lasciate dove capita, assieme a carte, e avanzi qualsiasi, tutto è di grottesca normalità. Siamo a Morrocoy, una località turistica paragonabile a un Capri e Positano dei Caraibi. Tra l’altro su queste isole manca qualsiasi autorità che potrebbe far rispettare le regole, ma possono bastare solo i cartelli?
Carlos Ortega, libero in Perù
Ortega entrò in clandestinità a marzo del 2003, ottenne asilo politico in Costa Rica, ma fu espuslo perché violò le regole. Tornò clandestinamente a Caracas, qui fu arrestato il 28 febbraio 2005, si trovava in un bingo di Caracas. Il 14 dicembre venne condannato a 16 anni di prigione. Il 13 agosto 2006 evase dal carcere
. Ora è in Perù dove il governo gli ha concesso l’asilo. Da parte venezuelana non c’è alcuna polemica, la decisione peruviana è considerata legittima secondo il diritto internazionale, anche se quel titolo di “perseguitato politico” lascia un po' l'amaro in bocca. L’atteggiamento di Chávez verso i golpisti è stato molto permissivo, probabilmente perché da militare ha condotto nel ’92 un colpo di stato militare, e due anni dopo, nel 1994, fu graziato.
giovedì 30 agosto 2007
Ismael Garcia
Il “traditore” è Ismael Garcia.
Ismael è a capo del secondo partito più importante della coalizione di governo, Podemos (una costola del Mas, 7% di voti). Tutti vociferano su una sua fuoriuscita (o cacciata) con rispettivo passaggio all’opposizione, nella veste ovviamente di personaggio di spicco.
Ismael è un politico serio, di estrazione popolare, sindacalista e figlio d’operai, da qualche mese ha iniziato a contraddire il presidente laddove nessuno può osare contraddirlo. Prima ha rifiutato di sciogliere il partito per farlo confluire nel Psuv. In questo è in buona compagnia, anche il Ppt e lo storico Partito comunista venezuelano hanno rifiutato.
Durante le manifestazioni degli studenti "golpisti" contro la non rinnovazione della concessione a Rctv, Ismael li ha ricevuti in parlamento.
Mentre Chàvez li offendeva (in maniera volgare) “oligarchi, manovrati” Ismael li difendeva: “hanno la stessa importanza che hanno gli studenti chavisti”.
Invitato alle trasmissioni di Globovisiòn, tv d’opposizione, dice la sua senza peli sulla lingua, mostra lo stesso carisma da pastore evangelico che ha Chávez: ha le stesse origini povere, stessa loquacità, può piacere. L’ultima alzata di testa l’ha avuta sulla Costituzione: davvero troppo, ora l’ex-tenente colonnello non lo sopporta. Tutti sanno che la Costituzione deve essere approvata in poche settimane e in blocco, non articolo per articolo. La discussione è pura formalità, la decisione è già stata presa altrove. Ismael si oppone, vuole tempo, dibattito vero, discussione articolo per articolo. Insopportabile insubordinazione! Nel suo curriculum non ha macchie, nessun colpo di stato: né quello fatto da Chávez né quello dell’opposizione, anzi, ha lottato per difendere il presidente. Potrebbe essere lui ad abbatterlo un giorno?
Lo stato socialista si consolida
1) Il plebiscito sulla riforma costituzionale chavista (è già in moto la macchina del consenso).
2) La nascita del nuovo Partito socialista unito del Venezuela, in cui i battaglioni saranno la cellula ideologica (le comunità le cellule territoriali).
Dal 1 gennaio 2008 probabilmente inizierà una nuova era per la patria di Bolivar, la vecchia democrazia sarà sostituita da una nuova, quella partecipativa. Non sarà la democrazia delle istituzioni autonome, dei pesi e contrappesi istituzionali, ma del leader e le sue masse organizzate, un connubbio che avrà almeno tre nemici: la burocrazia , l’oligarchia, e l’imperialismo. Sono nemici che il governo dirà di voler abbattere, ma in realtà sono espedienti di comodo: quando le cose non vanno si scarica su loro il malgoverno.
La militanza totale ha bisogno della crisi, altrimenti si affloscia. Il Venezuela continuerà ad essere una democrazia in allerta, che spreme consenso dalla crisi, se ne alimenta.
Il Venezuela aiuta l’America Latina più degli Stati Uniti; ha dieci volte menopopolazione, è molto meno ricca. Aiuta anche i poveri di Londra, di New York. Solidarietà vera o ostentazione da parvenù? E’ davvero così ricco il Venezuela? No. La allegra gestione delle finanze potrebbe trasformarsi in un boomerang. L’ortodossia economica viene abbandonata, il Banco Centrale viene sottomesso al governo, le riserve monetarie continuamente intaccate. La moneta, sul mercato parallelo, si svaluta sempre di più. Ieri il cambio dell’euro era arrivato a 6500 boliveres per 1 euro. Un anno e mezzo fa era esattamente la metà. Uno stipendio minimo è 100 euro al mese: pochissimo, ma non sembra un problema per i settori più poveri della popolazione: acqua, elettricità sono quasi gratuiti, il cibo è sovvenzionato dal governo, i medici non mancano, la scuola, di cattiva qualità, non si paga. L’unico problema è la casa: nasceranno le città socialiste.
I soldi non mancano, c’è molta liquidità in giro, per questo l’inflazione è la più alta dell' America Latina. Chi intercettava prima questa ricchezza sa intercettarla anche adesso. Ma come risparmiare? In banca i tassi d’interesse sono più bassi dell’inflazione, depositare soldi equivale a perderli, si cerca allora di comprare moneta forte, dollari ed euro da mettere nel materasso, come sempre.
SGUARDO LATINOAMERICANO
Non è un complotto dell'impero mediatico. Quella venezuelana è una lotta tra ideologie, per sua natura varca i confini, appassiona perché riguarda domande ultime sulle ragioni dell'individuo, della sua organizzazione, delle sue aspirazioni. Le battaglie ideologiche sono dure, non permettono accordi. Quando la Comune di Parigi iniziava a preoccupare, il governo di Versailes utilizzò le cannonate.
Costituzione socialista?
Chváez sul tema della proprietà torna con piacere (l’ha fatto sabato durante assemblea generale dei battaglioni socialisti, e ieri in Alò Presidente), quasi si scusa di non essere così estremo da abolire la proprietà privata, ma ha le sue buone ragioni. I socialismi passati sono falliti proprio per questo, dice, per aver mortificato la proprietà privata. In realtà i modelli produttivi dei socialismi reali sono falliti non per il mancato riconoscimento della proprietà privata, quanto per la mortificazione dell’iniziativa economica del singolo.
Nella nuova Costituzione bolivariana l’iniziativa economica privata non sarà proibita, ma passerà in secondo piano. L’articolo 112 attuale recita: “Tutte le persone possono dedicarsi liberamente all’attività economica di propria preferenza...lo stato garantirà l’iniziativa privata”. Verrà riformato: “Lo stato pomuoverà lo sviluppo di un modello economico produttivo, intermedio, diversificato, e indipendente, fondato sui valori umanistici della cooperazione e la preponderanza degli interessi comuni sopra quelli individuali”. La lettera ribalta il contenuto, l’accenno all’ iniziativa privata scompare, lo Stato recupera centralità e dirige l’economia. La volontà dell’individuo (espresso nel vecchio “di propria preferenza”) passa in secondo piano. I suoi desideri sono assimilati a quelli collettivi ( “preponderanza interessi comuni su quelli individuali”).
Il Battaglione Socialista
Cosa sono i battaglioni? La cellula madre della militanza politica chavista. Ogni battaglione deve essere composto da un minimo di 200 persone, fino a un massimo di 400, accomunate da vicinanza territoriale
Il battaglione deve riunirsi il sabato alle 2 per discutere in luoghi pubblici riconoscibili dalla stella rossa. La stella rossa non è un simbolo casuale, è il recupero della simbologia comunista "storica".
Il primo compito: difendere le riforme della Costituzione (non discuterla), e ovviamente contribuire alla nascita del Partito Socialista Unito (non unico) del Venezuela, che entro Dicembre dovrebbe essere definitivamente strutturato. I battaglioni sono la ramificazione sul territorio del socialismo, spingeranno alla militanza di massa, alla partecipazione del uomo “totale”, politico a tutto tondo. Controlleranno che "l'opposizione non torni al potere" , sottolinea l'ex tenente colonnello.
All’assemblea del Poliedro è presente Chávez, “dovete stare svegli 24 ore a giorno, vigilare la rivoluzione” aizza la folla, mostra la nuova Costituzione, non blu ma rossa (foto in basso). Si scaglia contro i partiti della sua coalizione che non vogliono disciogliersi e confluire nel Psuv. "Dovete essere disciplinati, qui non vogliamo anarchici". Messaggio in codice per Podemos di Ismael Garcia e Ppt.
Il Movimento V Republica (MVR), movimento-partito di Chàvez che verrà superato dal PSUV, è definitivamente morto, è servito al presidente per andare al potere, ma non è riuscito a riconvertirsi in partito. In realtà il problema vero è che MVR non ha "qualità rivoluzionaria", come ha sottolineato ieri il Presidente venezuelano.
Il MVR non è mai riuscito a creare una militanza di massa, tutti i gruppi di base che appoggiano Chávez nei barrios si posizionano al di fuori del MVR, e spesso in sua contraddizione: movimento troppo moderato per gli aneliti rivoluzionari delle masse. Nel 23 de Enero, barrio di Caracas, il MVR era addirittura considerato alla stregua dell' "oligarchia".
Ora, a quasi 9 anni dall'inizio del chavismo, strutturare la rivoluzione diventa una necessità, per darle solidità, costruire il consenso, governare le masse, ma soprattutto per resistere ai momenti di crisi fisiologici per un paese del petrolio.
Eni, accordo in Venezuela
giovedì 23 agosto 2007
2 milioni e mezzo d'euro per corsi di formazione in Venezuela
A scuola di socialismo
Un vero socialista si prepara per la rivoluzione. Sul sito del nuovo Psuv (il partito socialista unito- non unico- del Venezuela) è possibile guardare i video di auto-apprendimento socialista: http://www.militantepsuv.org.ve/socialismo.htm . Ci sono video anche sulla sostenibilità ambientale, cosmovisione amerindia, indianità culturale.
La tradizione della "Comune" nella Costituzione venezuelana
La Comune parigina ebbe un'impronta marcatamente socialista portò, tra l’altro, all’ abolizione del lavoro notturno in centinaia di panifici parigini e venne osteggiata con insolita veemenza dalle classi alte. Non c’è da meravigliarsi, come spesso accade nella storia, le lotte ideologiche sono le più sanguinose, l’esperimento poteva travolgere tutta la Francia. Furono usati i cannoni.
Nel Venezuela socialista la città sarà un’insieme di varie Comuni “ognuna delle quali costituisce il nucleo spaziale basico e indivisibile dello Stato socialista venezuelano”.
Anche se il tentativo partecipativo viene deriso da molti osservatori, che lo considerano uno strumento chavista di consolidamento del consenso, l’idea di per sé è autenticamente democratica.
Trasferire potere al popolo, chiamarlo a partecipare, a dialogare è un imperativo che la democrazia non può mettere nel cassetto. In Venezuela l’esplosione di partecipazione popolare è avvenuta con un’intensità ignota altrove; una reazione agli ultimi venti anni in cui la democrazia è stata carente proprio nella costruzione del consenso e nel governo delle masse.
Le comunità organizzate sono un’arma a doppio taglio per Chàvez, è vero che appoggiano incondizionatamente il proprio leader e dissuadono l’opposizione (che spesso neanche può entrare nelle zone chaviste), ma è altrettanto vero che mantengono alto il proprio potenziale di lotta per il miglioramento del territorio, sono fonte di instabilità. Denunciano senza paure, mai nulla viene detto contro Chàvez, non lesinano contro i suoi funzionari.
La vita del cittadino, soprattutto nelle zone umili, dovrà essere politica a tutto tondo: militerà nel battaglione socialista (dovrà riunirsi alle 2 tutti i sabati), si iscriverà nella riserva militare, parteciparà alle elezioni di tutti gli organi territoriali, usufruirà delle missioni, e quando ci sarà da andare in piazza, andrà.
L’idea chavista di organizzare l’uomo nella dimensione esclusivamente territoriale ancora una volta ha meno valore per le classi medio-alte, che preferiscono l’associazionismo per interessi (dalla dama che gioca a bridge, all’associazione di montanari).
Il motivo è semplice: nelle zone popolari il territorio è un problema che ha bisogno di risposte collettive. Si parla, ci si unisce, ci si conosce soprattutto a causa dei problemi del territorio, la fognatura, la strada, la delinquenza. Interessi successivi, come passioni letterarie, rimangono sullo sfondo perché bisogna risolvere i bisogni minimi. Si rimane vincolati alla perenne emergenza che riduce la vita a lotta contro il territorio.
Nelle zone alte invece il problema del territorio è già risolto, il legame tra vicini si smorza, l’identità dell’individuo si frantuma, segue i mille rivoli degli interessi personali.
Costituzione Octroyèe
A conferma che il modello non è costituente, ma concesso, ci sono una serie di segnali, il più evidente è che sia stato il Presidente stesso a rivelarne il contenuto, oltre all’ammissione di averla scritta di suo pugno. La prima velocissima “approvazione” costituzionale del parlamento,avvenuta ieri, a meno di una settimana dalla presentazione, conferma l’intuizione. Il progetto è stato votato all’unanimità, lo spazio di discussione limitato. La “Asemblea” ha approvato la svolta a sinistra di Chàvez in blocco, senza una discussione articolo per articolo. Per la presidenta Cilia Flores la nuova Costituzione deve essere approvata o rigettata nella sua interezza, tertium no datur.
Il momento culminante sarà a dicembre quando con il plebiscito costituzionale il governo dimostrerà di aver aumentato il consenso.
Il plebiscito serve: la macchina del consenso va oliata per affiliare sempre più la base chavista al vertice. Vista la portata radicale degli interventi, per l’opposizione, sarebbe stato il caso di indire un’ Assemblea Costituente.
E’ vero che la riforma toccherà solo il 10% del testo costituzionale, ma con una “forza ideologica” ad alto impatto.
Sull’esercito la Costituzione registra il cambiamento più netto. Il dato letterale è fortemente ispirato alla dottrina militare chavista, vincolata a
L’art. 328 della Costituzione che Chàvez vuole cambiare affermava: “nel compimento delle sue funzioni (l’esercito) è al servizio esclusivo della nazione e in nessun caso della persona”. L’idea era chiara: un Presidente sconfitto non deve poter scatenare una guerra civile, l’esercito deve difendere la costituzionalità.
Questo riferimento esplicito ora viene meno, l’esercito adesso “non può essere al servizio dell’oligarchia o del potere imperiale straniero” ma sulla singola persona non dice nulla.
Il governo costituzionalizza poi il termine “oligarchia”, con cui nel discorso quotidiano Chávez si riferisce all’opposizione, in sostanza l’articolo potrebbe essere interpretato (senza forzature) in questa maniera: anche se vincesse l’opposizione avrebbe l’esercito contro perchè non potrebbe stare per “Costituzione” al servizio dell’oligarchia.
L’esercito diventa inoltre patriottico, popolare ma soprattutto antimperialista. Tre termini nuovi. Il dato è ancora una volta interessante, un esercito che si definisce contro qualcosa, cioè“anti-imperialista”, ipoteticamente diversifica le sue funzioni, le amplia e include la possibilità di aggredire, con la giustificazione che l’impero si è manifestato.
Un altro dato: prima la Costituzione affermava che l’esercito doveva essere “senza militanza politica”, anche questo scompare, l’esercito deve essere invece “patriottico”.
C’è poi un cambiamento strutturale (art.329). Tutti i corpi dell’esercito ( Esercito, Aviazione, l’Armata e la Guardia nazionale) erano separati, ora vengono riuniti (la Guardia nazionale diventa territoriale) le rispettive riserve vengono separate e riunite in un quinto corpo a parte: la miliza popolare.
Il dato è interessante, questo nuovo corpo, la milizia, è quella che dovrebbe combattere la guerra popolare di resistenza (anche questa codificata nella Costituzione, anche se in relazione non solo con la milizia, ma anche agli altri 4 corpi). E’ un corpo meno strutturato dei precedenti, nuovo, fluido, di non professionisti. Proprio per questa sua fluidità, a parere di chi scrive, potrebbe essere usato per frenare un eventuale colpo di stato di qualcuno degli altri tre corpi (da cui negli anni ’90 sono partiti due colpi di stato, uno capitanato proprio da Chàvez e l'altro dall'Aviazione). In pratica se per esempio l’esercito diventasse golpista, le speranze del presidente dovrebbero affidarsi proprio alla milizia popolare.
In sintesi la nuova lettera costituzionale non fa altro che codificare la dottrina militare chavista, che si basa sul concetto di popolo in armi che difende la rivoluzione. Quindi di resistenza contro l’impero.
Il Presidente sa benissimo che l'esercito è attraversato da non pochi malumori per l'impronta "socialista" che gli ha impresso. Il famoso discorso di Baduel, (ex-ministro della difesa) che lascia il ministero della Difesa e attacca il totalitarismo è un atto coraggioso, non perché in contraddizione con il pensiero del Presidente. Semplicemente perché ha chiesto a Chàvez di pronunciarsi chiarmente contro il totalitarismo. Chàvez lo ha fatto a costo di inimicarsi i suoi fans più scatenati: il marxismo-leninismo è qualcosa di datato, ha ammesso, ma di assoluto fascino
L'atto di Baduel è stato coraggioso perchè per la prima volta una seconda linea detta l'agenda ideologica del governo, e il presidente è costretto a rincorrere.
L'esercito, anche depurato, e bolivarianizzato continua ad essere sotto osservazione.
Patria, socialismo ...e corruzione
Non sono parole dell’opposizione, ma di Josè Vicente Rangel, ex vicepresidente di Chávez, adesso editorialista di Ultimas Noticias, e autentico rivoluzionario.
E’ un commento (editoriale di oggi) onesto: Chávez vinse nel 1998 con la promessa di sconfiggere la corruzione, non l’imperialismo. Ha perso, ha cambiato obiettivo, ma la sua popolarità rimane alta. Rangel riconosce al presidente la buona volontà, ma solo quella. Il problema è ingovernabile. La classe dirigente chavista non è più onesta di quelle precedenti, a volte è proprio la stessa, facce vecchie riconvertite al chavismo. Fonti che ritengo affidabili sostengono che le tangenti nell’ambito degli affari governativi sono aumentate nella percentuale, pochi giorni fa proprio Ultimas Noticias (giornale filochavista ma obiettivo) sottolineava come oramai non si facevano gare di appalto, si usa la licitazione privata. Si sceglie a dito, personalismo che favorisce deviazioni.
La corruzione avanza, e si moltiplica con i prezzi del petrolio. Più il governo sparge ottimismo, più il messaggio viene decodificato in maniera bizzarra: l’ottimismo libere la coscienze, se i soldi ci sono il furto non è furto, la corruzione pura vanità: colpa lieve non grave.
Il caso della valigia con 800 mila dollari intercettata in Argentina (viaggiava con una delegazione di Pdvsa) non rivela nulla, tutti già sapevano. La maledizione è la stessa: si arricchiscono politici e militari sulla retorica della povertà e del popolo. Ad essere arrabbiati sono gli stessi chavisti. La dichiarazione di Rangel è una spia.
E’ probabile che il Venezuela dovrà convivere pacificamente col problema come fa Cuba. Lo stesso Fidel Castro nella biografia a due voci con Ignacio Ramonet, e nelle sue vecchie apparizioni pubbliche, ammetteva che il cancro (la corruzione appunto) che devasta Cuba, e la rivoluzione, non è stato debellato. Sono passati cinquanta anni. In Venezuela quasi dieci: il problema rimane.
domenica 19 agosto 2007
Le missioni sono il braccio di Chàvez che si muove per il Venezuela, scavalca la burocrazia, nata dalla politica, e incide direttamente sui problemi, con velocità. Costituzionalizzare le missioni però equivale a costituzionalizzare l’“emergenza”, da cui nascono. Equivale quindi a dare massimo rango normativo al conflitto burocrazia, anti-burocrazia, perpetuarla. Da molte parti (anche chaviste) invece si parlava di “istituzionalizzare le missioni”, cioè strutturarle, incamminarle in quei percorsi burocratici che saranno anche perversi, ma sono un passo necessario per trasformare le concessioni del sovrano in diritti del popolo. Esattamente l’opposto, spegnere le missioni, assorbirle.
In realtà l’idea, anche saggia volendo, è mantenere aperti due canali, quello burocratico (da inserire in bilancio) e quello delle missioni che si espande e si restringe a fisarmonica come le entrate di petrolio. Ma molti sospettano che siano solo uno strumento di consenso presidenziale: d’altronde dal presidente dipendono.
Nella rivendicazione dei diritti naturali con cui si apre la Dichiarazione di Indipendenza americana del 1776 appare il diritto «alla vita, alla libertà e alla ricerca della felicità». E’ proprio il termine “ricerca” a dare alla costituzione americana l’impronta individualista che non perderà mai . La ricerca della felicità, più che la felicità, include il doppio gesto dell’individuo: prima l’ individuazione della felicità, poi il tentativo di perseguirla. Lo Stato fa un passo indietro. In Europa è la rivoluzione francese a proporre una codificazione del diritto alla felicità, con due formulazioni divergenti. La dichiarazione dei diritti del 1789 (simile a quella americana del 1776), inserisce nel preambolo il fine della «felicità di tutti», affidato alla libera iniziativa dei singoli. Ma la costituzione giacobina del giugno 1793 propone, invece, lo strappo, con la formulazione di matrice rousseauiana della «felicità comune» come «fine della società».
Quando Saint-Just, nel marzo del 1794, dichiara che «la felicità è un’idea nuova in Europa», il concetto, nel suo significato politico, è ormai legato strettamente al dirigismo del gruppo di potere giacobino.
In Venezuela la formulazione appare, paradossalmente, venezuelana. Si richiama forse un concetto un po’ datato per essere inserito in un Costituzione contemporanea (la felicità è costituzionalmente debole). La Costituzione recita (se approvata) “Lo Stato promuoverà lo sviluppo di un modello economico produttivo...che garantisca...la maggior somma di felicità possibile”(art. 112), lo fa nell’ambito dell’articolo sull’attività economica .
Vista la collocazione (nell’ambito dell’attività materiale), il concetto di "somma" implica il riconoscimento che la felicità è discorso di somma, quindi di somma sia di singole individualità sia di quantità, con l'evidente riconoscimento che la felicità può implicare differenze sostanziali, tra individui e quanitità, ma l’importante è la somma finale ( la somma di felicità è un’aspirazione più che un dato verificabile) . Lo Stato si riserva il ruolo di coordinamento.
La parolina “possibile” finale (felicità possibile) a me sembra un richiamo ridondante (potrebbe essere somma di felcità impossibile?) che però va calato nella realtà di uno Stato del petrolio.
E’ un richiamo a un senso di realtà che spesso in Venezuela si è perso: proprio per il petrolio molti credono di aver diritto a un livello di felicità altissimo ( felicità assolutamente materiale) con il minimo sforzo. E un problema culturale. Comunque preoccupante sarebbe stato la dicitura “felicità del popolo”.
Art.112:
El Estado promoverá el desarrollo de un Modelo Económico Productivo, intermedio, diversificado e independiente, fundado en los valores humanísticos de la cooperación y la preponderancia de los intereses comunes sobre los individuales, que garantice la satisfacción de las necesidades sociales y materiales del pueblo, la mayor suma de estabilidad política y social y la mayor suma de felicidad posible. Así mismo, fomentará y desarrollará distintas formas de empresas y unidades económicas de propiedad social, tanto directa o comunal como indirecta o estatal, así como empresas y unidades económicas de producción y/o distribución social, pudiendo ser estas de propiedad mixtas entre el Estado, el sector privado y el poder comunal, creando las mejores condiciones para la construcción colectiva y cooperativa de una Economía Socialista.
Lo Stato promuoverà lo sviluppo di un Modello Economico Produttivo, intermedio, diversificato e indipendente, fondato sui lavori umanistici di coperazione e nella preponderanza degli interessi comuni sopra quelli individuali, che garantiscono la soddisfazione delle necessità sociali e materiali del popolo, la maggior somma di stabilità politica e sociale, e la maggior somma di felicità possibile. Quindi fomenterà e svilupperà diverse forme di imprese e unità economiche di proprietà sociale, tanto diretta o comunale come indiretta o statale, così come imprese e unità economiche di produzione e/o distribuzione sociale, che possono essere proprietà mista tra Stato, il settore privato e il potere comunale, e creino le migliori condizioni per la costruzione collettiva e cooperativa di una Economia Socialista.
La proprietà privata serve, il Presidente l’ha capito dopo aver parlato con i testimoni diretti dei socialismi falliti (tra cui annovera Ortega) . Ma se la geografia costituzionale ha un senso, non può sfuggire come nell’elenco delle proprietà quella privata appaia in ultima posizione. L’elenco a dire il vero appare confusionario e forse non meritava rango costituzionale. Comunque la non abolizione della proprietà non è una sorpresa, la proprietà rimane ma l'interesse privato e individuale si sfuma rispetto allo Stato. Anche questo non meraviglia nessuno. D'altronde non era una rivoluzione? Qui i nuovi articoli della Costituzione.
mercoledì 15 agosto 2007
La festa dell’amicizia italo-venezolana?
Il Venezuela e la Costituzione socialista
Renè HiguitaRenè Higuita
Dovrà abituarsi alla vita bucolica, che in parte può uccidere più delle periferie di Medellin, ma di noia. Se lo prendono in giro non si arrabbia, lo sfottò è l’unico contorno possibile per un amante degli scandali e delle mode.
Metà pagliaccio metà giocatore l’è sempre stato, l’ultima metà adesso sfuma, la prima cambia i contorni. Lontano dai riflettori, il buffone non può neanche più farlo, vive la propria meritata pensione come mito. A lui lo scettro della più grande figuraccia dei mondiali. Erano gli ottavi di finali di Italia ’90, tempi supplementari. Esce dall’aria palla al piede, sicuro della propria onnipotenza: il camerunense Roger Milla gli soffia il pallone. Goal. Colombia fuori. A lui però il merito della più grande parata del secolo, a Wembley. Guardatela sotto.
lunedì 13 agosto 2007
venerdì 10 agosto 2007
Il progetto di Chávez
C’è un luogo comune (giustificato) sul capo di Stato più discusso delle Americhe: chi si oppone alle sue politiche difficilmente troverà una sua azione utile. Qualsiasi mossa verrà sempre tacciata come populista o controproducente. Eppure, scavando un po’, c’è almeno un discorso che in parte ha eccitato le emozioni della oligarchia (come la chiama Chàvez), cioè dei suoi avversari, trovandoli d’accordo. Il discorso contro le cliniche private. Quando l’ex-tenente colonnello sostenne che avrebbero dovuto abbassare i prezzi, il suo popolo, che nelle cliniche non ci va, rimase un po’ freddino, l’argomento non interessava loro ma i ricchi e la classe media: terrorizzati dalla sanità pubblica (che in realtà nelle zone interne del Venezuela è migliorata, a Caracas meno) hanno sempre giurato che nel momento del bisogno si sarebbero rivolti alla sanità privata: con prezzi da strozzinaggio. Per un paio di giorni si può spendere oltre duemila dollari (al giorno e al cambio ufficiale). Le cliniche si difendono richiamandosi agli alti costi della sanità, ma la maniera nordamericana d’agire (prima i soldi poi la vita) infastidisce una città dal carattere decisamente tropicale, convinta di avere nei rapporti umani la propria chiave vincente. La sanità privata è insopportabile, soprattutto per i tanti che non hanno l’assicurazione privata ma se arrivano ad avere bisogno di un aiuto medico, si indebitano. E così molti antichavisti hanno applaudito gli strali contro le cliniche: vanno fermate perché guadagnano sul dolore della gente, rianimano te, e i tuoi debiti.
Le cliniche dal canto loro hanno i loro buoni argomenti: i costi di gestione sono alti e devono scaricarli unicamente sul cliente. L’aut aut è ancora più diabolico: se paghi meno hai un servizio peggiore.
SE TI VIOLENTANO LA COLPA E'TUA
martedì 7 agosto 2007
TELEFERICO ESPROPRIATO
Il governo, dal canto suo, non è sprovveduto: è sempre attento nel trovare una motivazione giuridica alle sue azioni: questa volta la concessionaria del teleferico non ha rispettato gli accordi, non ha continuato il teleferico fino alla zona costiera di La Guaira come pattuito, né ha versato al ministero del Turismo una somma di denaro dovuta. La proprietà passa direttamente in mano allo Stato, a cui i soldi da investire non mancano. Molti però hanno il sospetto che la confisca sia stata motivata soprattutto dal malumore popolare sui prezzi troppo alti (salire e scendere costava quanto un pranzo al ristorante), che avevano reso l’Avila una montagna di elite o di scolaresche in gita. Per la concessionaria questi prezzi erano necessari per ammortizzare le spese per gli investimenti, che fino al 2015 non sarebbero stati recuperati. Mancavano, ha sostenuto José María Jiménez, direttrice de “ Inversora Turística Caracas”, che la concessione doveva scadere nel 2021, il governo quindi non ha rispettato gli accordi.
Per festeggiare l’espropriazione popolare il teleferico è stato offerto per due giorni gratuitamente ai cittadini: paga Chàvez per tutti, finché c’è il petrolio. Il gioco è sempre lo stesso: non interessa che il teleferico trovi un equilibrio finanziario, deve accontentare il popolo
Dall'Argentina la conferma: "Di Ingrid Betancourt non so assolutamente nulla"
Il presidente venezuelano ha anche fatto riferimento alle prossime elezioni argentine. "Anche i sassi sanno che la first lady Cristina Fernandez diventerà presidente dell'Argentina" ha sottolineato mentre "Nel mio recente viaggio in Spagna - ha ricordato la moglie del presidente Nestor Kirchner in un'intervista pubblicata ieri dal quotidiano conservatore 'La Nacion' - ho detto che Chavez è indispensabile per il settore energetico latinoamericano come lo è Putin per l'Europa". Ma ha aggiunto: "Chavez è stato eletto democraticamente. Va detto però che, guardando all'ottica internazionale, il suo eccessivo agitarsi non fa bene alla democrazia venezuelana".La first lady ha anche sottolineato: "Il socialismo che propaganda è un socialista sui generis dato che compra imprese a prezzo di mercato e rispetta tutti gli accordi energetici con gli Usa". E ha concluso con una stoccata: "Non mi pare opportuno, come sta facendo, che vengano inseriti i militari in un partito o in una ideologia. I militari servono ad altro".Sicuramente Cristina Fernandez ha voluto difendersi dall'opposizione che accusa i Kirchner di eccessiva amicizia con il presidente venezuelano. Ma è indubbio che, anche se Chavez firmerà accordi con il di lei marito per comprare a prezzo di mercato bond per un miliardo di dollari (negli ultimi tre anni ne ha acquistati per 4,2 miliardi, e in parte li ha rivenduti guadagnandoci) -e per approfondire le intese energetiche, la coriacea first lady lo ha voluto avvertire di non esagerare. Intanto le associazioni ebraiche protestano. Chàvez è amico del regime iraniano e in Argentina si è consumato il peggiore attentato contro gli ebrei, oltre 80 morti.(ANSA)
lunedì 6 agosto 2007
BETANCOURT LIBERA? O SOLO UN BUFALA?
Chàvez nel frattempo è in viaggio per il Sud America, un comportamento “normale”, forse troppo per chi costudisce un segreto così grande. Il Chávez che conosciamo sarebbe esploso di gioia, avrebbe cantato per ore. La Betancourt liberata sarebbe la più grande vittoria politica della rivoluzione venezuelana , ma anche uno dei gesti più gloriosi di diplomazia internazionale. In realtà Chávez è l’uomo giusto per risolvere il decennale problema della guerriglia venezuelana: lo sa lui, lo avverte l’opinione pubblica internazionale, storcono il naso gli Stati Uniti che invece vedrebbero consolidarsi nell’opinione pubblica internazionale un loro nemico (nemico?). Non è un mistero che tra la base chavista e la guerriglia colombiana ci sia un buon rapporto. Non solo affinità ideologica: il movimento chavista ha inglobato nel suo movimento molti ex-guerriglieri venezuelani che con la guerriglia colombiana hanno condiviso parte della propria storia, della propria gioventù. Ma ci sono tanti segnali di affinità: Al Global Social Forum del 2005 di Caracas le Farc consegnavano tranquillamente i propri volantini, i giornali comunitari chavisti ospitano i loro comunicati. Un giornalista di Telesur è stato coinvolto in alcuni casi giudiziari. Ovviamente Chàvez ha preso sempre le distanze dal movimento guerrigliero, probabilmente in maniera sincera: non condivide un metodo di lotta che insanguina il paese senza via d’uscita, ma come le Farc anche Chàvez porta la lotta ai suoi livelli più alti: contro l’Impero. Lo stesso Impero che questa volta lo ringrazierebbe.
domenica 5 agosto 2007
L'AMBASCIATORE GERARDO CARANTE: CHAVEZ NON E' UN DITTATORE
Pacato, accorto come si addice a un diplomatico consumato. l’ambasciatore Gerardo Carante parla con l’esperienza di chi, dopo quattro anni, reputa di conoscere assai bene coloro che, oggi, occupano le stanze del potere. - In ogni caso - aggiunge - sono convinto che qualora il Capo di Stato volesse fare cose che non piacciono, l’elettorato lo castigherebbe col voto. Lo manderebbe via. E il presidente Chávez andrebbe via. Non credo proprio sia di quelle persone disposte a passare a una dittatura sanguinolenta; a mettere centinaia di migliaia di persone in carcere; a non rispettare i diritti umani.- Le è toccato svolgere la missione diplomatica in un momento particolarmente complesso del Paese. Lo stesso Presidente Chávez ha detto che abbiamo lasciato alle spalle un modello economico-sociale per costruirne uno nuovo, che ha battezzato il “Socialismo del Secolo XXI”. Quali difficoltà ha dovuto superare in questi anni?Sottolinea immediatamente che, a suo avviso, “questo regime non cambierà la situazione del Paese”. E, per meglio illustrarne il perché, racconta la sua esperienza in Pakistan, quando era Primo Segretario a Islamabad.- Quando arrivai in Pakistan – narra – c’era il governo liberale del Presidente Bhutto. Si respirava un clima di libertà: i cristiani erano rispettati, la stampa scriveva senza censura e si poteva anche bere vino e whisky. Ad un certo punto, però, i militari ritennero di dover intervenire. Consideravano che il Presidente era troppo amico della Cina e della Russia e molto meno degli Stati Uniti.Il resto è facilmente immaginabile: abolizione di ogni libertà, proibizione dei partiti politici, migliaia di arresti e l’assasinio del Presidente Bhutto. L’Ambasciatore Carante commenta:- Bhutto fu accusato di aver autorizzato l’omicidio di un suo rivale politico, dieci anni prima. Assurdo. Bhutto non aveva bisogno di ricorrere alla violenza, all’assassinio. Il risultato fu l’introduzione delle leggi islamiche, il velo alle donne, la censura. Tutte cose che non esistevano. Nei due anni vissuti a Islamabad ho visto cambi radicali. Si passò bruscamente da un regime molto simile a quello di qualunque paese europeo ad un altro con caratteristiche assai diverse; da una libertà assoluta ad un sistema musulmano.In Venezuela, all’opinione dell’intervistato, cambiamenti radicali non ce ne sono stati.- Credo che il Presidente Chávez sia convinto, nella sua buona fede, che non sia stato fatto sufficiente per i venezueani – afferma -. Ha la certezza che bisogna fare di più. Mi ha comunque assicurato che la doppia nazionalità resterà inalterata, che la patria potestà non verrà modificata e che la proprietà privata verrà rispettata, ad eccezione di quei casi in cui venga considerata proprietà sociale.Prima ancora che potessimo intervenire con la domanda di rito, l’Ambasciatore precisa che per proprietà sociale s’intende il bene di utilità pubblica; una figura legale che, a detta del diplomatico, è presente in tutte le legislazioni. Insiste:- Non è un’invenzione del Presidente Chávez. Non c’è paese al mondo in cui, per motivi sociali, non si possa espropriare. Ad esempio, confiscare terre per costruire un’autostrada. L’importante è che il bene, la proprietà espropriata, venga pagata secondo la legge del mercato.Dittatore o profondamente democratico? Dipende dal prisma attraverso il quale si guarda. Il Presidente Chávez, su questo pare che non ci siano dubbi, è un personaggio della nostra storia contemporanea che, più di altri, riesce a provocare sentimenti opposti e radicali. E’ per questo che chiediamo:- In più occasioni lei si è detto amico personale del Presidente Chávez e, in ogni caso, ha avuto modo di conoscerlo bene. Ci dica quali impressioni si è formato; ce ne faccia una radiografia.Sorride. Per un istante, nell’amplio ufficio, nell’attico dell’edificio della “Bolsa di Caracas”, cuore e simbolo del potere economico, c'è silenzio. Poi l’ambasciatore Carante, tornando addietro nei ricordi, ci dice:- Il primo giorno in Venezuela, andai a Maracay invitato ad una cena che il rimpianto Filippo Sindoni offriva in commemorazione della Camera di Commercio italo-venezolana. C’era anche il governatore dello Stato Aragua, Didalco Bolívar, un politico ch’io ritengo estremamente intelligente. Oggigiorno, come si sa, è in contrasto con il Presidente Chávez, specialmente sul tema del Partito Unico Socialista. Il Governatore, allora, mi disse una cosa ch’io non sapevo e non potevo sapere in quanto appena arrivato. Ammise che era contrario al programma economico del Presidente Chávez, poiché riteneva che il Capo dello Stato commetteva gravi errori nell’applicazione delle riforme soprattutto nell’ambito economico.L’Ambasciatore confessa che rimase sorpreso dall’esternazione del Governatore; così sorpreso che non potè fare a meno di ricordargli che era parte della coalizione di governo.- E lui mi disse – prosegue l’intervistato – che aveva aderito alla maggioranza in quanto convinto che il Presidente Chávez, nonostante gli errori, agiva in buona fede. Ecco, io credo appunto che questo sia vero. Non ritengo assolutamente che sia un dittatore. No. Il Presidente Chávez non è un dittatore. Al contrario, considero che sia convinto che le sue decisioni, che la sua politica siano le più idonee al Paese. Vedremo se sarà vero. Tutti i nodi vengono al pettine. Se le sue politiche dovessero risultare non adatte allo sviluppo della nazione, non sarà rieletto. I venezuelani non voteranno nuovamente per lui. Ricordo che Didalco Bolívar mi disse anche che nelle file dell’Opposizione non c’era nessuno in grado di contrastarlo. E questa è un’altra verità: l’opposizione non ha leaders capaci di opporsi al Presidente Chávez.- Persone capaci, nelle file dell’opposizione, ce ne sono tante anche se è vero che alcune non hanno autorità morale e altre sono legate ad una vecchia maniera di fare politica.Scuote il capo e precisa:- Un leader, in un paese presidenziale, non solo deve essere capace ma anche avere carisma. Ad esempio, Julio Borges, un politico che conosco bene, sarà senz’altro una persona capace; ma non ha il carisma del leader. Lo ha, invece, Leopoldo López, l’attuale sindaco di Chacao. Inoltre, è una persona capace e si presenta bene, specialmente all’elettorato femminile. Forse è troppo giovane; ma non lo sarà tra cinque anni. Certo, bisognerá vedere anche se gli avversari glielo permetteranno; se gli daranno spazio.Sostiene che “per affrontare il Presidente Chávez è indispensabile essere una figura dotata di grande ascendente”.- Se la situazione economica peggiora; se il Presidente Chávez risultasse incapace di trovare soluzioni ai tanti problemi del Paese; se in questi cinque anni in cui ha praticamente tutto il potere non riuscisse a dare un nuovo impulso allo sviluppo della società e nel caso in cui si riuscisse a trovare un altro leader carismatico... – tace. Poi aggiunge:- C’è, in seno alla nostra Collettività, chi sostiene che sono molto, forse troppo a favore del Presidente Chávez. Non è così. Non è vero. Non sono né a favore né contro il Capo dello Stato. Sono l’Ambasciatore della Repubblica italiana. Sono i venezuelani, gli italo-venezuelani che devono scegliere il loro presidente. Io semplicemente lavoro con il presidente che loro si sono dati; col presidente che loro hanno eletto. La posizione dell’Italia, lo ribadisco, è quella di tutti i Paesi dell’Unione Europea: finchè c’è democrazia, non si ha nulla da ridire. All’Europa non importa il regime che una nazione si dà. Importa, però, che ci sia democrazia; possibilità di alternanza nel potere e, soprattutto, che ci sia rispetto delle libertà individuali; dei diritti umani; della libertà di stampa, di espressione e così via... Fino ad ora ritengo, non solo io ma tutti i paesi dell’Unione Europea, che in Venezuela ci sia ancora democrazia.Una gestione diplomatica ricca di successo. Per tanti sì, ma non per tutti. Ed infatti, non sono pochi a considerare che, pur riconoscendo l’ottimo lavoro fatto dall’Ambasciatore nell’aiutare le holding italiane ad ottenere appetitosi appalti e nel rilanciare le relazioni commerciali tra i due Paesi, la Collettività imprenditoriale italo-venezolana non ha ricevuto dal diplomatico l’attenzione che meritava e si aspettava. Ragione sufficiente, questa, per chiedere all’Ambasciatore Carante:- Cosa resta alle aziende italo-venezolane della partecipazione delle multinazionali italiane nella costruzione delle grandi opere di infrastruttura? Come aiuta la presenza delle holding italiane le nostre aziende che, a causa della crisi economica e istituzionale hanno ridotto drasticamente la produzione?- Ricordo – risponde – che mio suocero, anni fa, mi diceva che gli dava tanto fastidio la carenza di infrastrutture nel paese. Non c’erano treni e le autostrade erano poche e piene di buche. Ritengo che dare una mano allo sviluppo industriale di questa nazione sia un aspetto positivo ed abbia un ritorno per tutti, anche per gli italo-venezuelani. Per quel che riguarda poi le imprese italiane lavorano molto meglio con le ditte italo-venezolane che con altre.- Non sempre è così. Non essendo questa partecipazione istituzionalizzata, molto dipende dalla sensibilità dei manager, di chi è a capo degli uffici delle holding in Venezuela. E non ci si meraviglierebbe se alla loro sensibilità non corrispondesse altrettanta dei loro capi-ufficio in Italia.- Sì, certo – ammette, per subito sottolineare che “i sub-appalti alle ditte italo-venezuelane sono un dato di fatto”. Sostiene che l’input che dall’ambasciata arriva alle grandi aziende italiane che operano nel Paese è quello di rendere partecipi dei lavori anche le aziende dei nostri connazionali, quelle fondate con tanto sacrificio dagli emigranti e oggi, in molti casi, rilevate dai figli.- Comunque – prosegue -, è il Governo italiano che discute con quello venezuelano. Lo Stato venezuelano, invece di firmare gli accordi direttamente con le multinazionali, preferisce passare attraverso l’altro Stato, lo Stato italiano. E cioè, l’Ambasciata. E’ questo che mi ha permesso contatti, e amicizie.Commenta che è parte dell’abilità di ognuno saper aggirare gli ostacoli così come far partecipare le aziende dei connazionali.- Per esempio - spìega -, quando sono arrivato mi sono accorto che la residenza era trascurata. Chi mi ha preceduto evidentemente non se ne era mai preoccupato. Forse non desideravano avere i muratori in casa. Io, invece, ho pensato ch’era opportuno fare le riparazioni necessarie. E per questo lavoro ho contrattato una ditta italo-venezuelana.Un grosso polmone finanziario, tante banche e capacità tecnologica. Ecco, è questo, nell’opinione dell’Ambasciatore Carante, un cocktail vincente; la differenza tra le multinazionali e le nostre imprese.- Lo Stato venezuelano, a volte – spiega -, non è puntuale nei pagamenti. Ha difficoltà di “cash-flow”. Quando questo accade, l’azienda ha bisogno della proprie capacità finanziaria per far fronte a impegni che a volte richiedono centinaia di milioni di dollari. Le aziende impegnate in grandi appalti hanno spese tutti i giorni. Devono pagare gli impiegati, ma anche i rifornitori. Ci sono materie prime indispensabili che non vengono consegnate se non si procede in anticipo al pagamento.Sottolinea, e lo fa con particolare enfasi, che le “ditte italiane hanno rischiato tanto; ci sono stati momenti in cui hanno dovuto procedere a esborsi per centinaia di milioni di dollari senza ricevere nulla dallo Stato venezolano”.- Questa è essenzialmente la ragione per cui si preferiscono aziende straniere – commenta - Queste hanno alle loro spalle un Paese e, soprattutto, banche. Possono permettersi di andare avanti per mesi nei lavori anche senza ricevere denaro.Spiega infine che quando promuove “la presenza di ditte come, ad esempio, Pirelli e Iveco, chi ci guadagna è soprattutto la Collettività”.- Certo – conclude -, le multinazionali ottengono grossi guadagni, ma anche la Collettività. Quasi tutti i dirigenti che ho conosciuto in Iveco, ad esempio, sono italo-venezuelani. E lo stesso posso dire di Pirelli. Ecco, questi sono i migliori esempi. (a cura di Mauro Bafile)