martedì 31 luglio 2007

IL SOCIALISMO DEL PETROLIO

Quando il presidente venezuelano vinse la prima volta le elezioni chiamarlo socialista avrebbe equivalso ad offenderlo. Gli abbracci con Fidel Castro facevano parte del copione anti-politico con cui lui, militare, puntava di vincere, ma di comunismo ne sapevo ben poco.
In realtà l’amicizia castrista avrebbe potuto essere anche un auto-goal, ma ci pensò poco e si lasciò trascinare dai sentimenti: il mito di Fidel ha accompagnato Chàvez fin dall’infanzia, quando a Sabaneta di Barinas, nella pianura venezuelana, vendeva a scuola le merendine che preparava la nonna . Lo confessa nel libro intervista Habla el Comandante di Blanco Muñoz: “Avevo solo 13 anni e sentivo per radio che Che Guevara era circondato in Bolivia. Ero un bambino e mi chiedevo: perchè Fidel non manda degli elicotteri a prenderlo. Ero solo un bambino, ma già mi identificavo pienamente con la sua causa”. Fidel, di 28 anni più grande, prima idolo poi “hermano”, ha per i venezuelani un significato particolare. Non solo ha ispirato la guerriglia degli anni ’60 (pacificata), ma ha costruito un paese, Cuba, sulla cui qualità della vita i venezuelani, di qualsiasi classe sociale, nutrono seri dubbi.
Nel 1999, in una interminabile conferenza stampa di undici ore Fidel, messo con le spalle al muro dalle domande dei giornalisti venezuelani, taglia la testa al toro: “Chavez non è in linea con la filosofia del socialismo e del marxismo”. E poi “non l’ho ma ascoltato dire una sola parola sulla voglia di creare comunismo in Venezuela”. Lo stesso presidente Chàvez lo sottolinea più volte. In Alò Presidente del 9 giugno 2003 sbotta: “Se fossi comunista lo avrei detto”.
Il suo governo però, in una strana scalata terminologica, ha cambiato pelle lungo il cammino. Prima bolivariano poi socialista.
All’inizio di socialismo o lotta di classe nessuno parlava, anzi ci fu un tempo in cui l’ex-tenente colonnello si dichiarò, negli anni rampanti del blairismo, quando ancora non era presidente, addirittura epigono della terza via. Ma al socialismo- giurano i suoi discepoli- c’è arrivato senza volerlo, costretto a barricarsi dentro una dottrina non sua, che però gli forniva strumenti ideologici e propagandistici per difendersi dall’oligarchia corrotta e affarista (vocabolario chavista). La sua vittoria nel 1998 non lasciava immaginare che sarebbe arrivato così lontano. Aveva vinto intercettando la voglia di cambiamento, dopo quaranta anni di democrazia di cui gli ultimi venti fallimentari, e giurando di spezzare in due i corrotti e gli inefficienti.
Oramai sono quasi 9 anni che sta al governo, e il progetto si è rivelato. Si chiama socialismo (del petrolio), costruzione dello stato socialista e dell’uomo nuovo. Una duplice combinazione che lascia intravedere il tentativo di voler prendersi una rivincita sulla storia: un secolo di esperienze comunista fallimentari.
Ma il Venezuela è diverso, possiede il petrolio, e soprattutto punta a far forza su alcuni elementi di grande innovazione. 1) La storia dei comunismi è stata fino ad ora bloccata nello schema della guerra fredda, ora invece la geopolitica favorisce alleanze più ardite 2) i fallimenti del comunismo reale sono una lezione di cui dovrà tener conto, quindi il suo comunismo dovrà essere diverso, o lui un pazzo 3) La rivoluzione dei mezzi di informazione, con la crisi dei mass media e l’avanzamento del network, dovrebbe portare a una duplice consapevolezza. Primo che è impossibile costruire il consenso controllando i flussi informativi o isolandosi, dunque converrà fare i conti con l’opinione pubblica internazionale. Secondo che essendo lo schieramento ideologico a lui affine all’avanguardia nell’indirizzare l’opinione pubblica on-line, dovrebbe avere più facilità a far passare i suoi messaggi “alternativi” e la sua verità. Ma questa è pura speculazione. Quei messaggi alternativi occupano quantitativamente la rete, ma difficile misurare l'effettivo grado d'incidenza.

lunedì 30 luglio 2007

L'AMBASCIATORE GERARDO CARANTE SU EL NACIONAL APPOGGIA CHAVEZ

Ultima intervista a “El Nacional” , quotidiano della borghesia cittadina, per l’ambasciatore Gerardo Carante. A sorpresa appoggia il progetto costituzionale sulla rielezione indefinita senza limiti di mandato: “La rielezione- sottolinea- non preoccupa né l’Italia né l’Europa perché in Europa non esiste alcuna limitazione. Là i capi di governo possono essere rieletti per il tempo che i cittadini scelgono. Per noi non è un problema, è una decisione del popolo. Se il popolo non è contento con il lavoro del governo, voterà contro il capo di stato che c’è. Non credo sia un problema per la democrazia”. Peccato che il paragone con l’Europa non sia quello più appropriato, sarebbe più adatto farlo con gli altri paesi dell’America Latina (più affini culturalmente e storicamente) in cui, per evitare derive caudillistiche, i mandati subiscono limitazioni. Nella stessa intervista Carante esclude la possibilità che venga proibita la doppia cittadinanza, provvedimento che spaventa soprattutto gli emigranti . Lo stesso giorno su Talcual, giornale di Teodoro Petkoff leader dell'opposizione, la deputata italo-venezuelana Marisa Bafile concede una lunga intervista moderata, sulla scia dello slogan né con Chàvez né contro Chàvez. L'unica accusa che gli muove è di prendere decisioni senza consultare la società civile. (Nella foto un'opera di Dalì)

domenica 29 luglio 2007

Gerardo Carante se ne va, il suo un rapporto difficile con gli emigranti

Gerardo Carante se ne va. L’Ambasciatore italiano in Venezuela termina un mandato complesso in un periodo unico per il paese di Bolívar. Tra i suoi meriti c’è aver intuito il pragmatismo di Chávez e aver risposto con ancora maggiore pragmatismo. Ha sempre consigliato di investire nel paese, di continuare a fare affari, di non perdere le speranze, di aver fiducia in un Venezuela consumista per genesi petrolifera. Ma ha anche commesso un errore di valutazione: aver sottovalutato il socialismo venezuelano, averlo considerato più parole che fatti. Gli ultimi mesi di slogan, camicie rosse, partito unico, ritiro di concessione, quelli della radicalizzazione del processo bolivariano, hanno confermato che Chávez non è un populista, ha un progetto che porterà al termine: il socialismo. Il chavismo è nato come movimento, continua ad esserlo. Come un fiume in piena tende ad accelerare, rompe argini, difficile capire cosa travolge e cosa risparmia. Avanza e lo fa velocemente spinto dal “pueblo”.Il rapporto di Carante con gli italiani in Venezuela è stato contraddittorio. La sua parte l’ha fatta: ha cercato di riportare alla ragione una collettività spesso in preda a paure e sospetti ingiustificati, è stato il primo ambasciatore a pronunciarsi sulla trasparenza del referendum revocatorio il 15 agosto del 2004, quando metà del paese gridava ai brogli elettorali. Quel giorno molti connazionali lo avrebbero linciato, così come tanti malumori ha scatenato l’incontro che ha organizzato tra la collettività e Chávez (22 giugno 2005), in un momento in cui il presidente venezuelano era guardato con molto fastidio. Eppure la sua linea era chiara e pragmatica: ha intuito che la stabilità politica avrebbe continuato ad arricchire gli italiani in Venezuela e soprattutto avrebbe permesso di far concludere affari alle multinazionali delle costruzioni. Così è stato. Ghella, Impregilo e Astaldi sono i più felici della sua gestione. Metà degli appalti ferroviari hanno il loro marchio (e quello di Carante).Un ambasciatore esotico, che non disdegna pelli di tigre e catene d’oro, contraddistinto da atteggiamento a volte inutilmente provocatorio: negli incontri con gli emigranti italiani non solo non ha risparmiato elogi al presidente Chàvez, pur conoscendola contarietà della platea, ma si è vantato di esserne grande amicone. Ha poi troppo spesso sottovalutato il problema degli italiani poveri, “sono al 99% ricchi” gridava distratto dai lussi del Centro Italiano-venezolano, emblema dei desideri di grandezza degli emigranti. Ma molti italiani erano impoveriti davvero, bastava andare il giovedì alla mensa della chiesa “Madonna di Pompei”. Un altro abbaglio, un altro errore di valutazione.Ha imposto il suo stile autoritario con cui ha piegato anche l’Istituto Italiano di Cultura. Grande economista, ha però una visione della cultura ridotta, essiccata, appiattita sulla società dello spettacolo. Tanti onori a Katia Ricciarelli, ma grande imbarazzo quando offende una sua ospite. L’attrice Maya Sansa è a Caracas per il film “Buongiorno notte”. Dal pubblico tuona una voce: “Ma voi non siete grandi star, dove sono le Sofia Loren, la Gina Lollobrigida?”. E’ la voce dell’Ambasciatore, il suo corpo diplomatico abbassa lo sguardo. La Sansa annaspa. E’ incapace di riconoscere i percorsi sotterranei della cultura, quelli di nicchia e dai tempi lunghi, animato invece dai grandi progetti, dai grandi obiettivi. Ideatore di un festival italiano di cultura di non grande successo, ha sorpreso tutti bloccandone l’ultima edizione. Il festival nasce e muore con lui, questa la decisione del capo. Tornerà in Venezuela per le vacanze, con questa prevedibile dichiarazione saluta la stampa, mentre soddisfatto si fregia del titolo dell’ “Orden del Libertador”. La rivoluzione lo ringrazia.

sabato 28 luglio 2007

LUIGI MACCOTTA NUOVO AMBASCIATORE A CARACAS

Gerardo Carante ha concluso ieri, con l'inaugurazione del busto di Garibaldi a plaza Italia (Caracas) il mandato diplomatico. Dal 1 agosto sarà Luigi Maccotta il nuovo Ambasciatore d'Italia a Caracas. Nato a Parigi il 19 febbraio 1953, Maccotta si laurea in Scienze Politiche presso l'Università di Roma nel 1978 ed entra in carriera diplomatica nel 1981. Tra gli incarichi ricoperti nella carriera, dopo essere stato assegnato al Servizio Stampa e alla Direzione Generale Affari Economici, dal 1984 al 1989 è a Tel Aviv, quindi a Berna e nel 1991 a Tokyo. Rientrato a Roma presso la Direzione Generale per la Cooperazione allo Sviluppo, nel 1998 è a Washington. Nuovamente alla Farnesina, presta servizio alla Direzione Generale per i Paesi del Mediterraneo e del Medio Oriente, dove nel 2004 assume l'incarico di Coordinatore della 'Task Force Iraq'. Nello stesso anno viene nominato Ministro Plenipotenziario. Dal 2005 è Vice Direttore Generale per i Paesi dell'Africa sub-sahariana alla Farnesina.

SARKOZY IN VENEZUELA?

Il presidente venezuelano Hugo Chavez ha letto oggi pubblicamente alcuni paragrafi di un messaggio inviatogli il 5 luglio scorso - festa dell'indipendenza in Venezuela -, dal collega francese Nicolas Sarkozy, affermando che l'atteggiamento del neo presidente francese contrasta "con la perversa e brutale campagna in corso in Europa" contro il governo di Caracas, dietro alla quale, ha sostenuto, "vi sono le pressioni del governo Usa".Nel messaggio Sarkozy scrive che "non vi sono dubbi che gli eccellenti rapporti tra i nostri due Paesi continueranno a svilupparsi". "Per questo diamo importanza alla bella lettera di Sarkozy, che riflette dignità e chiarezza", ha sostenuto il capo dello stato venezuelano, nell'accomiatarsi da un gruppo di 50 studenti, in partenza per Parigi per approfondire i loro studi.In un precedente evento, Chavez ha anche elogiato la first lady argentina e candidata alle presidenziali di ottobre Cristina Fernandez per il fatto che l'altro ieri, nel corso della sua visita in Spagna, in un'intervista al quotidiano 'El Pais', ha detto che "il contesto energetico latinoamericano non va in porto senza la presenza di Venezuela e Bolivia" e che "l'America Latina ha bisogno di Chavez come l'Europa di Putin".(ANSA)

giovedì 26 luglio 2007

SEV VENISSE SARKOZY?

E se venisse Sarkozy? La notizia solletica la curiosità del paese. Ad annunciare il probabile incontro, che dovrebbe avvenire a maggio del 2008, ci pensa il vice-ministro Rodrigo Chaves (già ambasciatore in Italia). Il tête à tête dovrebbe esserci dopo il vertice tra America Latina, Caraibi e Unione Europea, programmato a Lima per maggio del 2008 . I temi che saranno discussi tra i due leader sono l’ energia fossile e alternativa, l’infrastruttura, salute, farmacologia, tecnologia, formazione di tecnici automotrici ed educazione basica.Se l’uomo “nero” dovesse arrivare in Venezuela, Chàvez ne sarebbe entusiasta: avrebbe l’occasione per spiegare che la rivoluzione francese e quella bolivariana hanno tanti punti in comune. Alla gigliottina si sostituisce la non concessione delle licenze. Fino ad ora l’ex-tenente colonnello ha ricevuto dall’Europa solo Zapatero (che non è riuscito a vendergli le armi per intromissione Usa): si sono incontrati due leader di sinistra ma opposti. Hanno incrociato lo sguardo e hanno capito che la storia li divide.
Zapatero è un democratico che ha vissuto sulla sua pelle l’oscurantismo franchista, rappresenta la classe politica spagnola terrorizzata da personaggi che possano anche remotamente sembrare dittatori, Chávez non lo è (è autoritario) ma il suo culto della personalità spaventa. Non a casa durante la corsa per il seggio di sicurezza all’Onu la Spagna non ebbe tentennamenti: votò contro Chàvez. L’incontro tra Sarkozy e Chàvez (uomo nero e uomo rosso) oltre all’entusiasmante accostamento cromatico, riproporrà due figure antropologicamente simili: burberi e amiconi, motivati dal potere, dall’aspetto autoritario e dai modi imprevedibili, sono convinti entrambi di avere un compito che vada al di là della buona amministrazione, vogliono fare cose straordinarie.L’Italia invece ha inviato in Venezuela pochi politici di peso. La presenza più elevata è stata quella del ministro per gli Italiani all’estero Mirko Tremaglia: incontrò soprattutto gli italiani a cui lo lega un amore parzialmente ricambiato.Anche l’Ambasciatore in Venezuela Gerardo Carante ha ripetutamente affermato di voler far arrivare un esponente di peso del nostro governo. Uno sforzo vano, il suo mandato è scaduto e nessun aereo di Stato ha sganciato il carrello ai tropici. Peccato, l’Italia in Venezuela ha una costola e molti interessi (infrastruttura, macchinaria medica, Eni) . Almeno un Bertinotti Chávez se lo meritava, più dell'Italia!

mercoledì 25 luglio 2007

IL SOCIALISMO E LA CULTURA DI STATO

Esiste una socialismo doppio. Unico ma sdoppiato all’occhio dell’osservatore. Il primo è assolutamente insopportabile. Vi rientra il linguaggio aggressivo di Chàvez, l’ottusità di parte della sua classe dirigente (tecnicamente impreparata), gli slogan (Patria, socialismo o muerte, rumbo al socialismo), il culto della personalità, la volontà arcaica di costruire “l’uomo nuovo”, il partito socialista unito comandato dal leader, l’unione civico-militare, l’antimperialismo dogmatico che solidarizza con paesi quali l’Iran, la confusione sul sistema economico misto, il buonismo idealista.C’è però una parte del socialismo utile alla storia del venezuela. E` quella che ha a che fare con la costruzione dello stato moderno. La fiscalità. Il Venezuela è una paese petrolifero, sempre così si sono raccontati i venezuelani da almeno settanta anni. L’oro nero è la prima voce nella fiscalità generale, ma è una voce che fluttua a seconda dei mercati internazionali del petrolio, e spinge a una gestione delle risorse a fisarmonica. Quando il petrolio è alto si dà sfogo a una politica kenesyana, quando scende si ci indebita. Una realtà che rende difficile la programmazione sui lunghi tempi e contemporaneamente porta a un sistema di riscossione fiscale sui cittadini che fa acqua da tutte le parti. La rivoluzione socialista sta cercando di cambiare le cose: vuole ridurre l’effetto fisarmonica, e lottare contro la convizione radicata nel paese che il fisco è inutile...tanto c’è il petrolio. Questa mentalità è devastante soprattutto se tende a disabituare all’idea di solidarietà tra classi su cui si fonda lo stato moderno degli ultimi 150 anni. Il Venezuela di oggi è allora un paese simile a quello dell’Europa ottocentesca, senza stato sociale, con impreditori abituati ad approfittare della manodopera a basso costo a cui non si pagano i contributi.Un buon governo, di destra o di sinistra, non può permetterlo. Nei paesi avanzati il costo del lavoro Il Seniat, agenzia fiscale, sta lottando contro l’evasione con un’efficacia non abituale in Venezuela. La dirige Vielma Mora, ex militare decisionista e onesto, dalla mano dura. I suoi uomini arrivano, controllano, sigillano i negozi che non sono in regola. Poca la corruzione. Lo stesso stanno cercando di fare con la dogana, con l’appoggio anche dei piccoli imprenditori produttivi venezuelani, stanchi di vestiti e di scarpe che arrivano di contrabbando dalla Cina e dalla Colombia. E’ questo tipo di socialismo, che mira alla costruzione dello stato, che piace a molti.

martedì 24 luglio 2007

SOS SEQUESTRI DI ITALIANI IN VENEZUELA

Non accenna a calare l’ondata di sequestri in Venezuela. A farne le spese è stata un’altra volta la comunità italiana. Domenico Cieri, 84 anni, cittadino venezuelano di natali italiani, è stato rapito nel tardo pomeriggio di lunedì, diventando la diciassettesima vittima di un sequestro durante il corso dell’anno nello stato Yaracuy. Cieri, titolare di due stazioni di servizio sull’autostrada Rafael Caldera nei pressi del municipio Cocorote, è stato intercettato da uomini armati mentre, a bordo del suo fuoristrada, lasciava una delle sue stazioni per recarsi a casa. La famiglia Cieri mantiene il più stretto riserbo, ma è trapelato che ci sarebbe già stato un contatto con i rapitori.
Nessuna novità per quanto riguarda il sequestro del 18enne italovenezuelano Matthew Short de Panfilis, rapito martedì 17 luglio a Maracaibo. I suoi rapitori non si sarebbero più fatti sentire sin da quel giorno, quando una breve telefonata avrebbe avvertito la famiglia del rapimento. In questo caso si ritiene che sia coinvolta la guerriglia colombiana, le cui azioni in Venezuela sono state denunciate dalla stampa e ammesse dalle autorità. Ad esempio, venerdì scorso, due giovani sono state sottratte alla famiglia da un commando di venti uomini armati che le è andate a prelevare nella loro casa, all’interno di una tenuta agricola nello stato Zulia. Lo stesso ministro dell’Interno, Pedro Carreño, parlando sabato ai giornalisti, ha ammesso l’esistenza di un’emergenza sequestri, attribuendola a funzionari di polizia corrotti e alla situazione di caos che esiste nella “repubblica sorella” di Colombia. Ha quindi esortato a una rapida approvazione della “Ley Antiextorsión y Secuestro”, affinché – ha detto – “il Venezuela non si converta in un paradiso per i fattori che generano la violenza in Colombia, che questo paese non diventi un rifugio di questi soggetti”.
Secondo dati della polizia, in questi primi sette mesi del 2007 si sono avuti (includendo il caso Cieri) 108 sequestri; 41 ostaggi sono tuttora in prigionia, 51 sono stati liberati dai rapitori, tre sono fuggiti, cinque sono stati uccisi e nove sono stati salvati dalla polizia.

CHAVEZ CONTRO LA CHIESA, TEOLOGIA DELLA LIBERAZIONE CONTRO FRANCHISMO

Chávez dittatore, gridano molti stranieri che arrivano in Venezuela e non vogliono allinearsi al socialismo venezuelano. Una cantilena continua, ripresa dai giornali, dalle agenzie di stampa. Un rumore di sottofondo insopportabile che fa perdere le staffe al presidente della pianura venezuelana... quando le perde ripaga con la stessa moneta. Non ha esitato così a replicare al cardinale honduregno Oscar Rodriguez Maradiaga bollandolo di "pappagallo di Washington" , "pagliaccio imperialista". Lo riferisce l'agenzia di stampa statale Abn. Chàvez ha risposto in questo modo alle dichiarazioni del cardinale che lo aveva recentemente accusato di aver dato vita a una dittatura in Venezuela. "Chávez si crede Dio - aveva strillato Maradiaga - e pensa di avere il diritto di calpestare le persone. Ha una superbia che si è già vista nella storia con altri dittatori.". "Ecco - ha risposto l'ex-tenente colonnello- è comparso un altro pappagallo dell'Impero". Ha poi concluso dicendo che il cardinale Maradiaga fa parte dell'estrema destra che parla in nome di Dio. Lo scontro tra diversi estremismi non è una novità quando c'è di mezzo in America Latina la chiesa. Lo spiega bene Maurizio Chierici nel libro "La scommessa delle Americhe": la chiesa in America Latina è stata animata da due estremismi opposti, preti combattenti animati dalla teologia della liberazione e prelati franchisti. In Venezuela però c'è stato molto franchismo e poca "liberazione". Esempio ne è l'ultimo documento della Cev. L'osservazione è del giornalista Rocco Cotroneo. Chiudiamo con il suo blog: "L'ultimo documento della Cev, la conferenza episcopale venezuelana, è durissimo contro Hugo Chavez. Lo si può leggere qui. Definisce il governo "populista" e "militarista", critica la riforma della scuola, orientata ideologicamente, e soprattutto la pretesa di costruire il 'socialismo del XXI secolo'-

CHAVEZ NOSTRO CHE SEI NEI CIELI

Dopo la chiusura (o “non rinnovazione della concessione radioelettrica” come insistono dal governo) di Rctv, il prossimo passo critico della rivoluzione venezuelana è la riforma costituzionale che includerà la rielezione indefinita per il presidente. La scelta è sospetta, anche gli osservatori filochavisti hanno difficoltà a giustificarla come scelta “democratica” in un continente che guarda con molta diffidenza alla rielezione indefinita: il caudillo è sempre dietro l’angolo.
Il Venezuela ha una struttura istituzionale presidenziale, il presidente risponde al popolo, non al parlamento, e concentra poteri senza molti contrappesi. La Costituzione voluta da Chàvez nel 1998 riconosceva questa concentrazione di potere, superava così il rischio della perpetuazione attraverso la previsione del limite di due mandati consecutivi di 6 anni. Anche troppo per un paese che nella Costituzione precedente, del 1961, aveva vietato qualsiasi rielezione consecutiva cosciente del significato rivelatorio della storia: bisognava creare una democrazia in un paese in cui un tiranno, Gomez, aveva governato 35 anni e un altro, Perez Jimenez, era stato abbattuto da una insurrezione popolare dopo 10 anni. Un paese in cui la democrazia era in fasce.
La proposta costituzionale appare ancora più originale perché la rielezione è prevista solamente per il Presidente della Repubblica, non per governatori o sindaci. Un provvedimento ad hoc che serve a perpetuare Chàvez al potere.
La maggioranza di governo, dopo il caos mediatico dovuto a Rctv, si aspetta una crisi mediatica della stessa o di maggiore intensità. A riequilibrare le cose ci pensano i mass media comunitari che tentano di far passare la rielezione come una richiesta diretta dei poveri. Sfogliamo il settimanale comunitario “Por Ahora”. In un’inchiesta che si presume obiettiva tutti gli intervistati sono a favore della nuova scelta costituzionale, nessuna voce dissenziente. Eligio Palacios, consigliere comunale, dice: “Ci serve per garantire la continuità rivoluzionaria, per promuovere il socialismo”. Maria Alvarracin, commerciante, è ancora più sentimentale: “Sono d’accordo, perché il presidente comandante Hugo Chàvez è con i poveri e vogliamo che il popolo stesso lo scelga”. La deputada Camila Ramires: “Sì, è necessaria la sua continuità al potere per creare la Missione Cristo, come dice la Bibbia: aiutarci l’un l’altro”. Per Tirzo Zandoval, dirigente politico, “la rielzione è vera democrazia”, mentre per Ivan Macgregor, altro dirigente politico, “è il popolo che sceglie”, Juan Lemus, leader comunitario, sintetizza per tutti: “Se il presidente fa le cose bene bisogna dargli opportunità”.
Il popolo, la gente umile è con lui, è vero. Sono con lui molto di più ora per la rielezione continua di quanto lo fossero per Rctv, a cui erano in qualche modo legati. Non è difficile comprendere la motivazione: la ratio, il senso storico di un meccanismo costituzionale che impedisce al presidente di essere rieletto non è di immediata intuizione, è frutto del processo storico latinoamericano e internazionale. Lo può capire la classe dirigente, il professionista della politica, meno palese è per il popolo a cui i problemi materiali interessano prima e sopra tutto.
In Bolivia (dove anche Morales vorrebbe imitare Chávez) come in Ecuador, Cile, Uruguay, Panamá, Nicaragua e Costa Rica, il presidente può essere rieletto solo dopo un mandato di pausa. In Venezuela (per adesso) come in Brasile, Colombia, Stati Unti, Repubblica Domenicana e Argentina possono governare per due mandati di seguito. In Messico, Paraguay, Honduras e Guatemala non si permette alcuna rielezione.

domenica 22 luglio 2007

I giovani venezuelani che a Caracas cercano l'America

E’ una lenta costante diaspora. Ragazzi, appena diplomati, da Maracay (2 ore da Caracas), da Valencia (3 ore), dalla costa , da Merida (10 ore) partono. Se cercano l’ ’Mmerica non la trovano oltre frontiera. E’ vicina, più vicina. Bastano pochi spiccioli, meno dello stipendio di un giorno, e raggiungi la metropoli: l’ ’Mmerica è lì. Caracas spaventa per il caos, ammalia pe le luci, non nasconde niente della sua forza: vibra di una vitalità particolare, prima comprime nel suo ventre povertà e ricchezza, poi sputa fuori speranze e disperazione. Il dolore e il lutto la percorre, per i morti ammazzati, le donne abbandonate di cui tutti parlano, tutti sanno rassegnati, ma poi qui c’è anche il potere mediatico, politico ed economico. Qui l’unico futuro possibile. Altrove è terra di miseria anche quando i soldi ci sono: miseria non nei valori, ma nei ritmi di vita appitattiti sulla ripetitività noiosa da paese.
A Caracas il lavoro non manca. La microeconomia della metropoli (servizi) produce migliaia di opportunità per persone poco scolarizzate o per studenti che aspirano al part-time, in modo da conciliare anche l’università o gli istituti privati: dal grafico alla moda.
L’ ottimismo c’è ma in gran parte è ingiustificato: la metropoli è ostica e ingiusta. Lo stipendio a cui questi ragazzi possono aspirare difficilmente supera i150 euro (al cambio parallelo), una somma che azzera i sogni nell’immediato, li rimanda a domani: metà dello sueldo se ne va per la sistemazione notturna, in una zona spesso misera ma non tanto da essere barrio. Quest’ultimo è riservato agli ultimi, non a giovani rampanti. Il barrio è quartiere di contadini che nella metropoli non cercano il sogno americano, ma pochi spiccioli da spedire a casa: moglie e figli vanno sfamati, la loro dignità sa di millenario, sono i volti che vedi ovunque nella miniera, nei campi, nelle fabbriche. Gli ultimi. Lo stipendio però permette pochissimo soprattutto a chi ambisce ad uno stile di vita plasmato sull’eco di un sogno americano che il chavismo non può sotterrare. Sotterrato scorrerebbe sotteraneo, come la religione nei regimi comunisti.
Il denaro circola, si vede, si annusa, si tocca. Sgorga fuori come petrolio, segue traiettorie indecifrabili, si accomula per corruzione o saggezza mercantilistica e poi alimenta, sazia la città: ristoranti sempre pieni, sperpero, gioia di vivere. Il sogno americano è lì, nei centri commerciali, nelle jeep che sfrecciano aggressive, negli eroi del baseball, nel cinema, nella vittoria.
Questo futuro per tanti è lontano, ma la speranza è semplice da coltivare, basta a sé stessa. Ai successi della rivoluzione, ai consigli comunali, al sagrificio per la patria i giovani della diaspora oppongono la bella vita, i profumi, il successo personale. Se c’è un diritto che reclamano è la felicità, la città tranquilla, la carriera: deridono i modi del presidente perché non vogliono essere come lui, beffano la musica folcloristica, deridono il buon senso spicciolo e sentimentale. Sono Occidente e l'occidente è anche crisi di valori. Il loro però è un ottimismo immaturo, perché la maggior parte rimarrà legata a stipendi miseri, vivrà nella paura. All’immediato perpetuo, alla cultura dell’emergenza rispondono con l'oppio del consumo. Basta questo a tirare avanti.

Nessun risparmio per esempio sui profumi francesi o italiani. Importati costano una fortuna, quasi tre settimane di stipendio, ma diventano un sagrificio necessario perché a Caracas l’oligarchia ricca e gli stranieri amano le belle donne. Le vie della felicità e del progresso seguono percorsi sessuali e sentimentali . Nascono nuove figure professionali: la venditrice di profumi a credito. Solitamente sono compratrici isteriche, fanno incetta in aeroporto, rivendono in sei quote mensili. Un vero successo. Così come la notte dello sperpero: impossibile lesinare sulle bevande, il servicio (una bottiglia di rum o vodka da dividere) può costere metà stipendio mensile, ma è un inno al destino e alla sua legge primordiale: fai oggi quello che non potresti fare domani. E il domani è quasi sempre di portafogli che si aprono leggeri. Nessun problema. Ci pensa un embrionale microcredito mutualistico. E’ facile rimanere all’asciutto con stipendi miseri, ma è ancora più facile avere un piccolo prestito dall’amico. A sua volta ne avrà bisogno un giorno una catena che funziona e alimenta: si vive di stenti e speranze. L'America è domani, sempre domani.

sabato 21 luglio 2007

43 sequestrati italiani in Venezuea, in tre anni

In tre anni sono stati 43 gli italiani sequestrati, secondo la Fivavis( fondazione italiana di aiuto alle vittime dei sequestri). 11 nello stato Zulia, regione calda e petrolifera all’estremo ovest di Caracas. Uno dei casi più dolorosi è stato il sequestro di Rosina di Brino, rapita il 2 febbraio 2006 e trovata morta pochi giorni dopo. Lasciò incredula e sconvolti gli italovenezuelani, e il presidente Chàvez, anche l’assassinio di Filippo Sindoni, 73enne noto alle cronache locali anche per essere un volto amico della rivoluzione. Sindoni venne prelevato ad un falso posto di blocco il 28 marzo del 2006. Lo troveranno morto il giorno dopo, ucciso per essersi ribellato ad un atto di violenza che non avrebbe mai pensato di subire: imprenditore produttivo e amato, ucciso dalla sua gente.
Il sequestro dello studente Matthew Shortt de Panfilis ha confermato ancora una volta come l’insicurezza personale sia uno degli appuntamenti mancati della rivoluzione bolivariana, anche se ultimamente c’è stato un leggero miglioramento dovuto alle politiche ridistributive del governo. Difficile osservare lo stesso miglioramento alla frontiera dove agiscono indisturbati gruppi interni o in combutta con le Farc: quest’ultime garantiscono maggiore professionalità, ma sono anche più difficili da sconfiggere. Contano su una solida organizzazione. Intanto, dopo le resistenze della classe alta, dovrebbe andare in porto un nuovo provvedimento legislativo che prevede il congelamento dei beni dei familiari della vittima: un provvedimento duro ma necessario. E’ stato suggerito dal governo italiano, memore della lotta vinta contro i sequestri nostrani.

venerdì 20 luglio 2007

VENEZUELA E DROGA

l Venezuela è uno dei principali vettori di droga verso l'Europa, un centro di smistamento per il prodotto purissimo che arriva dalla Colombia e dalle zone andine. Le Fiamme gialle del Comando provinciale di Roma hanno eseguito otto ordinanze di arresti con l'accusa di traffico internazionale di sostanze stupefacenti. L'organizzazione criminale operava nella Capitale e si riforniva direttamente dal Sudamerica. Le indagini sono state coordinate dal Pm Luca Guido Tescaroli della Procura di Roma e sono durate circa due anni, nel corso dei quali sono state eseguite ulteriori ordinanze di custodia cautelare in carcere e sequestrati ingenti quantitativi di cocaina ed hashish.
I finanzieri dall'avvio dell'inchiesta, hanno posto sotto sequestro oltre 120 chilogrammi di hashish che proveniva dalla Spagna e solitamente veniva occultata a bordo di autovetture. In quelle occasioni furono arrestate due persone più altri due complici addetti alla sorveglianza del carico. A seguito di questa operazione le Fiamme gialle sono riuscite ad individuare gli organizzatori e i finanziatori del traffico di droga. I militari hanno scoperto che l'organizzazione aveva un filo diretto con il Venezuela. I produttori avevano diretti contatti con dei referenti romani che potevano acquistare la droga a prezzi concorrenziali evitando ulteriori passaggi intermedi e riuscendo a conseguire ottimi profitti.
Proprio nei giorni in cui la stampa metteva in evidenza l’aumento dei sequestri al confine tra Colombia e Venezuela, Matthew Short de Panfilis, un cittadino italiano di 18 anni, è stato rapito da un commando di uomini armati che l'ha costretto a salire su un fuoristrada mentre si trovava vicino a casa in compagnia di gruppo di amici. Maracaibo, zona di confine con la presenza di molti italiani, è nota per gli alti tassi di sequestri: il giovane potrebbe essere finito nelle mani di guerriglieri, che garantiscono l’incolumità del sequestrato meglio dei ladruncoli qualsiasi. Il gruppo ha agito con sicurezza :gli uomini avrebbero inizialmente portato via tutti i giovani e poi lasciato liberi gli amici di Matthew, trattenendo solo la «vittima designata». De Panfilis, diplomato da poco, è figlio del titolare di una ditta che produce rimorchiatori nel porto di Maracaibo e di un’artista italiana di origini genovesi, Carolina de Panfilis (nella foto). L’esperto antisequestri dell’Ambasciata d’Italia è già a Maracaibo per seguire il caso e fornire aiuto alla famiglia.

mercoledì 18 luglio 2007

E’ possibile una nuova crisi missilistica stile cubano? Per il momento no, ma i timori di una possibile futura “invasione”statunitense portano Chàvez a consolidare i rapporti militari con l’unica potenza che ancora può contrastare gli Stati Uniti: la Russia. Quest’ultima potrebbe, in una nuova e inedita versione della guerra fredda, rispondere dal Venezuela all'accerchiamento che gli Stati Uniti preparano attraverso una rete antimissilistica in Repubblica Ceca e Polonia.
Il presidente del Venezuela Hugo Chavez ha annunciato che presto verrà installato un sistema di difesa antiaerea nel suo paese, con la collaborazione di tecnologie russe, cinesi e perfino bielorusse."Che nessuno si stupisca - ha dichiarato il presidente - presto avremo il nostro sistema integrale di difesa antiaerea. Ci vorranno degli anni, ma avremo le apparecchiature per individuare aerei a grande distanza ed essere in grado di rispondere". "Presto - ha proseguito il presidente - arriveranno nel paese aerei da trasporto russi e cinesi, con materiale militare che ci permetterà di non dipendere dagli Stati Uniti. Chavez ha poi aggiunto: "Comincerà la preoccupazione degli Stati Uniti, che diranno che ci stiamo armando. Ma l'impero nordamericano vuole disarmare il Venezuela per la sua ricchezza petrolifera in una fase caratterizzata da una crescente necessità di combustibile"."I piani di difesa - ha poi affermato Chavez - fanno parte della guerra globale nella quale siamo immersi"."Ci sarà una crisi petrolifera - ha concluso - e quando ciò accadrà noi avremo ancora riserve di petrolio, oltre a una grande quantità di gas. Gli Usa vogliono porre fine al mio governo rivoluzionario e disporre del petrolio, come quando il nostro paese era una colonia".Il Venezuela può contare, secondo le stime delle autorità, su riserve pari a 300.000 milioni di barili di petrolio che sono in corso di certificazione e che sono considerate le più grandi del pianeta.
CARACAS – Luigi Annese Cogliano è uscito da un’esperienza terrificante, un sequestro conclusosi, per fortuna, senza gravi conseguenze. La brutta avventura è durata appena 15 ore; ma sono stati momenti atroci, in cui il signor Annese è stato picchiato e minacciato di morte quando i suoi carcerieri vennero a sapere che un loro complice era stato catturato dalla polizia. E’ lui stesso a raccontarci quei momenti, in un’intervista rilasciataci a pochi giorni dal sequestro.
Il signor Annese è titolare di una tavola calda nella facoltà di ingegneria della UCV. Come ogni mattina da 28 anni a questa parte, anche giovedì scorso, 12 luglio, alle 4.50 arriva nel parcheggio dell’università, pronto a iniziare un’altra giornata di lavoro. Ma c’è qualcuno ad attenderlo: “Mi hanno aggredito, mi hanno tramortito colpendomi col calcio di una pistola e mi hanno caricato su un’auto”. Chi, quanti erano? “Non lo so, mi hanno colto di sorpresa”. Luigi Annese Cogliano viene bendato, e portato in un punto distante “non più di mezz’ora” dalla UCV: “La mia prigione era una baracca col tetto in lamiera. L’ho capito dal rumore che faceva la pioggia, perché mi hanno tenuto bendato tutto il tempo che sono rimasto prigioniero. Mi davano da mangiare? Sì, mi hanno portato un’arepa ma non l’ho voluta. Mi davano anche l’acqua, ma sapeva di terra, non l’ho bevuta”. La prigionia, per fortuna, dura poco: circa 15 ore, cioé – spiega Annese – fino a quando i suoi carcerieri non ricevono una telefonata che li informa che il loro complice, recatosi all’appuntamento per ricevere il riscatto (“Avevano chiesto 600 milioni di bolivares, poi ci si è accordati per 27 milioni”), è stato catturato dalla polizia. La prima reazione dei banditi è quella di colpire l’ostaggio; Annese riferisce di avere contusioni sparse, una di queste alla mandibola, e di avere tagli sulle gambe. Ha avuto paura che accadesse qualcosa di peggio?, gli chiediamo. “Altroché. Mi misero anche una pistola in bocca”. Poi però i rapitori decidono di caricare l’ostaggio su un’auto, e lasciarlo libero sull’autostrada Francisco Fajardo. Con le mani legate, ma perlomeno libero di vedere, il signor Annese raggiunge un posto di guardia della polizia; così termina la sua brutta avventura.
Luigi Annese Cogliano è sposato e ha due figli, una ragazza di 23 anni e un ragazzo di 18. Sono tutti cittadini italiani. Come si sente adesso? “Fisicamente sto bene, certo sono ancora un po’ scosso”. Continuerà a lavorare alla UCV? “Sì”. Come mai è finito nel mirino di questa gente? “Non lo so”. Credeva di essere abbastanza ricco da essere a rischio di sequestro? “No”.
Il caso Annese è stato ricostruito nei suoi punti essenziali dalla polizia. La persona arrestata risponde al nome di Joibys López Cortés, 27 anni, residente lungo la carretera vieja Caracas-La Guaira. Fu lui, a quanto riferisto dagli inquirenti, a telefonare ai carcerieri del ristoratore, dicendo loro: “Sono stato preso, meglio che lo liberiate per non peggiorare le cose”. Poche ore dopo Cogliano tornava a casa. La polizia avrebbe identificato gli altri componenti della banda, due fratelli residenti lungo la carretera vieja e un terzo uomo residente a Guarenas. Un fatto che ha impressionato gli investigatori è che i contatti telefonici con la famiglia sono stati tenuti da un uomo recluso nel carcere El Dorado, a Ciudad Bolívar. Anche quest’uomo, garantisce la polizia, è stato identificato e verrà processato per questo nuovo crimine.
La coincidenza in questo anno 2007 del Bicentenario della nascita di Giuseppe Garibaldi e del 70º anniversario della morte di Giuseppe Gramsci, ci porta verso la celebrazione della somma delle vicende italiane che dai primi movimenti mazziniani e dalla lotta risorgimentale per l’indipendenza nazionale, confluiscono nella riformulazione delle idee di liberazione alla luce dei nuovi assetti sociali e dei fermenti prodotti dagli sconvolgimenti politici delle prime decade del Secolo XX. Attraverso il simposio Libertá e Liberazione: Bolívar, Garibaldi e Gramsci ci si propone, quindi, di sottolineare nessi che al di là della semplice agiografia o del troppo facile desiderio di volere riconoscere improbabili coincidenze con le vicende latinoamericane, leghino indissolubilmente le figure dei tre eroi alla storia grazie all’impegno prodotto per la liberazione da ogni forma di oppressione. La relazione libertà-liberazione è indubbiamente uno dei principali argomenti di discussione nel mondo moderno. Senza i principi di libertà elaborati dal pensiero illuminista e democratico tra il secolo XVIII e il secolo XIX nessuna lotta di liberazione sarebbe stata immaginata e realizzata con le grandi rivoluzioni di fine ‘700. Ma, al tempo stesso, senza la spinta liberatrice di grandi masse oppresse dalla discriminazione sociale e politica e dalla dominazione economica, difficilmente quei principi si sarebbero consolidati e arricchiti nel corso dell’800 e del 900 di nuove idee socialiste e libertarie.Bolívar, Garibaldi e Gramsci sono tre paradigmatiche figure che possono storicamente rappresentare, attraverso la loro vicenda biografica, le loro azioni politiche, le loro opere, questo inscindibile rapporto tra libertà e liberazione. Il primo, formatosi alle grandi scuole del costituzionalismo europeo e delle sue fonti illuministiche, ha dato concretezza a un progetto di liberazione che è e resta alla base di ogni politica di integrazione democratica del continente latino-americano. Il secondo, ispiratosi alle ideologie del repubblicanesimo democratico di Mazzini e del primo socialismo egualitario, ha reso possibile con le sue imprese di liberazione l’emancipazione di popoli e nazionalità oppresse in Europa come in America. Il terzo infine, ha pagato con il carcere e la vita la lotta per la realizzazione di un ideale di libertà socialista che ancora oggi costituisce, all’indomani del fallimento del comunismo dogmatico e totalitario, un punto di riferimento per la comprensione di tante insuperate contraddizioni della contemporaneità: il modello economico post-fordista, la democrazia come consenso e partecipazione, il ruolo delle culture popolari nazionali e degli intellettuali nelle necessarie riforme morali e sociali del nuovo millennio.
Dr. Massimo Gilardi, Addetto Culturale
“Bolivar, Garibaldi e Gramsci, un accostamento azzardato?” chiediamo a Massimo Gilardi, direttore dell’Istituto italiano di Cultura. “Certo- risponde sicuro e divertito - ma bisogna schierarsi, se l’obiettivo è coinvolgere le istituzioni locali, questa volta siamo riusciti a coinvolgerle”. Continua Gilardi: “Sono tutti e tre troppo a sinistra? Ma non è colpa mia se non sono di destra. Qualcuno mi ha detto: ma perchè non stemperiamo un poco tutto questo discorso di sinistra?” Gilardi fa un pausa e conclude: “Cosa ci dovrei inserire? Un po’ di Pinochet? Va bene- sospira- la prossima volta faremo una conferenza, tra virgolette, più democratica”.Ci sono tutte le premesse affinché le giornate di studio che iniziano domani siano un grande evento culturale: un seminario importante organizzato dall’Ambasciata italiana, l’Istituto Italiano di Cultura, la fondazione Celarg. L’inaugurazione avverrà domani, sarà presente il vice-presidente Jorge Rodríguez, che alcune settimane fa incontrò gli italiani in Venezuela per ascoltare le loro paure e rassicurarli, il vice-ministro Samudio Chaves, già ambasciatore a Roma, e l’ambasciatore italiano Gerardo Carante, che chiuderà così il proprio mandato. Quattro giorni di studi i cui atti verranno pubblicati dalla casa editrice Città del Sole.L’occasione è il bicentenario della nascita di Garibaldi, la ricorrenza giusta per promuovere una riflessione sull’ eroe del risorgimento italiano, su Antonio Gramsci, l’intellettuale italiano più tradotto all’estero, di grande attualità in Venezuela da quando Chàvez lo ha preso in prestito per giustificare la chiusura di Rctv, e Simon Bolivar, mito incontrastato della liberazione latinoamericana. Tre uomini che in epoche diverse sono stati ispirati dal popolo, dalle masse, accomunati dalla coerenza grazie ad un esempio irreprensibile, la virtù di non confodere pubblico e privato, di non arricchirsi sfruttando fama e politica: Garibaldi vincente non chiede ricompense per i suoi servigi, Bolivar morirà povero, Gramsci in carcere. Animati da spinte ideali, sono a uomini d’azione: Bolivar e Garibaldi grandi condottieri irrequieti, Gramsci fondatore di un partito comunista. Tutti e tre rimarrano delusi, il sogno della Gran Colombia viene affossato dai localismi, Gramsci vedrà spegnersi il comunismo ad opera del fascismo, e l’eroe dei due mondi si troverà il governo italiano contro quando tenterà di conquistare la Roma papalina: morirà deluso dal corso degli eventi, si dichiara semplice “agricoltore” nel registro matrimoniale, prima della morte.Eppure più che Garibaldi e Bolivar la grande attesa “venezuelana” è per Gramsci, diventato di grande attualità come riferimento culturale della rivoluzione bolivariana. Il suo è un destino particolare: fustigatore di un’Italia troppo feudale per essere liberale, ha analizzato il risorgimento come occasione mancata per una vera e propria rivoluzione popolare (riforma agraria, ecc). Comunista, ha dedicato i suoi sforzi ad analizzare il sottile rapporto che lega la politica, la cultura e le masse. A lui si devono alcune definizioni centrali come quell’“egemonia culturale”, tanto cara al presidente Chàvez che analizza la rivoluzione bolivariana come conquista dell’egemonia culturale e del potere da parte del popolo. “In Venezuela il contributo di Gramsci può essere davvero importante” conclude Gilardi.(leggi l'articolo sulla Voce d'Italia) Il programmaMartedì 17 luglio8:30- Cerimonia d’apertura alla presenza di Roberto Hernandez Montoya (presidente Celarg), Jorgue Rodriguez (vice-presidente della Repubblica bolivariana venezuelana), Gerardo Carante (ambasciatore d’Italia), Rodrigo Chaves (Viceministro per l’Europa), Francesco Garibaldi (discendente dell’eroe), Olga Duràn de Mostaffà (rettore Ulac)10:30- Analisi su Bolivar di Luis Britto Garcia, Antonio Scocozza, Luìs Felipe Pellicer.Mercoledì 18 luglio16:00- Esposizioni su Garibaldi di Carmine Pinto, Marisa Vannini de Gerulewicz, Francesco Garibaldi.Giovedì 19 luglio16:00- Esposizioni su Gramsci di Orietta Caponi, Giuseppe Cacciatore, Angelo d’Orsi.Venerdì 20 luglio16:00- Tavola rotonda sui “socialismi del XXI secolo”. Modera Luis Britto Garcìa, partecipano Narciso Isa Conde, Luis Villafaña, Carlos Lanz Rodrìguez, Giuseppe Cacciatore, Luìs Felipe Pellicer, Antonio Scocozza, Marisa Vannini de Gerulewicz, Angelo d’Orsi.

domenica 15 luglio 2007

Rafael LaCava è il nuovo ambasciatore venezuelano in Italia, “Mi sento forte come un leone qui, è come se avessi la criniera” ci accoglie così nell’Ambasciata dei Parioli. Rafael è una sorta di Sarkozy venezuelano: niente intellettualismi, tanto pragmatismo. E’ un uomo felice, frenetico, non sta fermo un momento, punta in alto e non lo nasconde. Le sue parole sono un continuo elogio a Chávez, alla rivoluzione. E’ giovane, può far carriera: “Se c’è da lottare con il Presidente io torno in Venezuela” ma intanto si gode la città eterna tra incontri e dibattiti. Se il chavismo finirà non sarà tra i primi ad essere buttati giù dalla torre: pragmatico va bene per ogni stagione. L’intervista viene concessa via e-mail. La riproduciamo integralmente.
Mi può raccontare brevemente la storia dei suoi genitori? Come, perché arrivarono in Venezuela?
Mio nonno è andato via da Praia a Mare, località della Calabria, nel 1930 e come tanta gente in quell’epoca ed in quelle successive, cercava una destinazione migliore per se stesso e per la sua famiglia. In quel periodo in Italia c’era carestia. Una volta arrivato in Venezuela, con molto sacrificio –come altri immigranti- ha dovuto impegnarsi duramente per integrarsi e crescere. Io mi chiamo come lui, Rafael, e riconosco che ha contribuito molto allo sviluppo della nostra città, la quale gli ha sempre manifestato rispetto. Successivamente mio padre fece lo stesso e nonostante la distanza generazionale siamo stati sempre consapevoli delle radici italiane che abbiamo. Quindi, siamo molto orgogliosi di essere venezuelani e delle radici italiane che abbiamo, avendo preso da queste ultime i valori quali il sacrificio per il lavoro, la famiglia e la solidarietà. Mio padre era tornato in Italia per studiare e qui ha conosciuto mia madre. Si sono sposati, io sono nato a Roma il 3 settembre 1968 e 45 giorni dopo la mia nascita siamo rientrati in Venezuela, arrivando nella più bella città del mondo: Puerto Cabello, città che adoro, amo ed alla quale devo tutto. Mi auguro di poter trascorrere il resto della mia vita cercando di farla conoscere in tutto il mondo e di aiutarla a superare i suoi attuali problemi. Sono poi ritornato in Italia il 15 maggio 2007 con questa nuova carica e consapevole di questa grande responsabilità che mi ha dato Presidente Hugo Chávez.
Ambasciatore, lei è figlio di emigranti. Com’era l’Italia dei racconti dei suoi genitori e quella che vede adesso, si sente di fare una riflessione?
Sì devo fare una riflessione poiché l’Italia è cambiata totalmente nella sua realtà. La visione dei miei nonni era basata sulla ricerca di un nuovo orizzonte. Il paese doveva essere ricostruito dopo la guerra. Col pasar del tempo, l’Italia è diventata il settimo paese più industrializzato del mondo. Oggi giorno l’Italia non è più un Paese di emigranti bensì di immigranti, che vengono dall’Africa, dall’Asia ed anche dal Sudamerica. Italia oggi è un Paese sviluppato tecnologicamente, economicamente, socialmente. Un Paese che ha avuto ed ha ancora una presenza nell’ambito internazionale, che deve continuare nel futuro ad avere un ruolo importante affinché questa visione che galoppa dell’unipolarismo nordamericano venga scartata per un sistema più equo, più umano e solidale, soprattuto meno feroce davanti i piccoli e i più deboli. Questo deve essere il contributo che Paesi come l’Italia devono dare al futuro dell’umanità, confrontandosi con coloro che vogliono portare il mondo in un abisso. Noi speriamo che l’Italia sappia svolgere questo ruolo di contribuire assieme a tutti quelli che come noi alzano la voce, che stanno mettendo il nostro sassolino in questa montagna che rappresenta la ricerca di un miglior mondo possibile.
Parte della comunità italiana in Venezuela è preoccupata dal governo Chávez. I sequestri, la paura delle espropriazioni, la tensione politica, lei cosa può dire per rassicurarli?
Riguardo alle espropriazioni, non credo che esista alcuna prova che a qualcuno è stato tolto un bene o una proprietà al di fuori delle leggi venezuelane o delle leggi approvate da tutti i Paesi, che riguarda facoltà di uno Stato di rilevare proprietà quando queste siano considerate un interesse strategico per il Paese.
Per quel che riguarda il mio Paese in generale: il Venezuela va alla grande. Si vede anche nella presenza di molti imprenditori italiani. Già nel passato si diceva che il governo voleva togliere le case, le macchine, ecc. Mai si toglierà niente a nessuno. Dopo 100 anni che in Italia non si usa più il termine latifondo in Venezuela si continua a lottare contra i “terratenientes” (proprietari terrieri). Vorrei manifestare una cosa che mi ha molto colpito dell’Italia ed è il fatto che non è stato lasciato neanche un centimetro di terra senza essere sfruttato per il benessere del popolo italiano. E’ meraviglioso che gli spazi liberi producano qualcosa. Il territorio venezuelano supera di tre volte quello italiano, il nostro governo ha proposto un nuovo concetto della presenza dello Stato e dei privati per quanto riguarda la terra. Oggi, in Venezuela, ci sono migliaia e migliaia di ettari cui proprietari non possono dimostrarne la proprietà. Da noi c’è il detto che “las cercas caminan de noche” (i recinti si spostano nella notte). Grazie al nostro governo, questa è una cosa che appartiene adesso al passato.
Per quanto riguarda la delinquenza, questo fenomeno è complicato ma il governo ha una visione differente che mira a capovolgere le radici di questo flagello. Oggi lo combattiamo 24 ore su 24 con l’educazione, il lavoro, la salute e tutti gli elementi sociali che deve avere un uomo a sua disposizione. Sappiamo che esiste, che è un problema di tipo strutturale, e ce ne stiamo occupando in forma profonda. Stiamo proponendo nuove leggi che consentano di ristrutturare dalla base i nostri corpi di polizia e con leggi che agiscono sulla delinquenza. E’ un tema che colpisce il Venezuela e tutto il mondo. D’altronde è anche neccesario evidenziare la responsabilità dei mezzi di comunicazione che danno notizie sui crimini, poiché quando sono strumentalizzate possono creare disagio. E’ meglio descrivere la realtà obiettivamente e non in forma strumentale.
L’Italia sta facendo ottimi affari con il Venezuela (Astaldi, Impregilo, Ghella, Anas) se fossi un imprenditore italiano come mi convincerebbe ad investire in Venezuela?
Vi convincerei con i dati e risultati del drastico cambiamento che il governo ha dato a livello economico e sociale. Inoltre, oggi stiamo certificando 350 mila milioni di barili come riserve petrolifere. Nel caso degli imprenditori, basta paragonare le seguenti variabili con i nostri Paesi concorrenti: l’ubicazione geografica; il clima; la stabilità politica; le similitudini tra i nostri popoli; la grande comunità italiana presente in Venezuela –che potrebbe essere una sponda ed un interlocutore; le nostre risorse e materie di base, l’apertura di nuovi ospedali, di dighe; l’ampliazione della rete di telecomunicazioni e d’infraestruttura, ad esempio la costruzione della rete ferroviaria bloccata da interessi USA per 100 anni; nuovi porti; l’incremento della capacità di servizi. Tutto questo ha fatto che il nostro PIL crescesse al 10% interannuale, negli ultimi tre anni (paragonabile soltanto alla Cina). Il nostro mercato cresce a livello esponenziale. Abbiamo restaurato la nostra sovranità ed il nostro paese è rinato dalle ceneri come mai prima. Oggi la nostra ricchezza è a disposizione del popolo. Sono convinto che chiunque voglia investire in Venezuela troverà le garanzie ed opportunità per i prossimi 50 anni, come in nessun altro Paese nel mondo.
Per l’Eni sembra non esserci più spazio, i rapporti sono definitivamente rotti?
Al contrario, l’esperienza dell’ENI, presente nel settore energetico mondiale da moltissimi anni, ha evidenziato che era un errore andarsene dal Venezuela ed ha cambiato la sua visione. Ha capito la nuova proposta del nostro governo e credo, come Ambasciatore venezuelano in Italia, che condivida questo nuovo modello energetico, il quale continua a dare profitto alle imprese straniere presenti sul territorio venezuelano. Oggi l’impostazione dell’ENI è positiva e siamo felici della sua presenza. Applaudo la decisione del Dottor Paolo Scaroni che al più presto cercherò di incontrare per parlare di queste nuove relazioni vincere-vincere (ganar-ganar), diverse dal modello USA dove vincono solo loro.
Sta leggendo i giornali in Italia, come trattano il Venezuela, che idea si è fatto?
Credo che ho tanto lavoro da fare poiché le informazioni divulgate sul Venezuela, sul nostro Presidente, sul processo bolivariano, sono sproporzionate e mancano di obiettività. Questo genera disinformazione ed evidenzia la parzialità delle fonti o dei punti di riferimento nel nostro Paese, si tratti della stampa nazionale italiana o di alcuni mezzi di comunicazione privati venezuelani. Non mi scandalizzo peró sono consapevole del lavoro da fare per spiegare all’opinione pubblica italiana la nostra realtà, chi siamo, cosa facciamo e come lo facciamo.
Già dall’anno ‘99 il processo politico venezuelano è aperto all’ispezione e alla verifica di chiunque voglia. Il nostro processo è un libro aperto dalla A alla Z. Questi sono fatti reali e non chiacchiere. Non abbiamo alcun tabú, né basi o carceri militari segrete, né siamo invasori di altri popoli, né portarori di morte in altri Paesi. Non abbiamo paura di confrontarci riguardo le nostre idee poiché sappiamo che stiamo dando un contributo all’umanità, nella sua ricerca di un mondo migliore. Possediamo risultati e parametri tanto da considerarci all’avanguardia nell’America Latina, un vero laboratorio di nuove idee di questa realtà attuale per l’umanità.
Mentre in Venezuela si conclude la Coppa America, in Brasile iniziano i giochi panamericani. Per Lula, il presidente dei poveri del nord-est, fischi all’inaugurazione. “Ho il sospetto- commenta il giornalista del Corsera, Rocco Cotroneo, sul suo blog- che la breccia tra chi ama e chi detesta l'ex operaio si stia allargando”. Rio de Janeiro è una città stanca, umiliata dalla violenza e incatenata a un Pil regionale che ha pochi spunti per crescere. Nell’inaugurazione c’è una’assenza che pesa, quella di Hugo Boss. Il giornale argentino Clarìn si interroga. Tutti lo aspettavano, lui non arriva.
Niente Rio per Chàvez, niente finale di Coppa America a Maracaibo per Lula. Non sono mai apparsi tanto lontani i due leader regionali, uno alla guida del paese più ricco, esteso, popoloso e contraddittorio dell’America Latina, l’altro a capo dell’unica vera potenza energetica del Sud America, in un momento in cui molte città si scoprono fragili sull’energia (come Buenos Aires).
Il viaggio di Bush in America Latina ha colpito non tanto per le parole del presidente americano (scontato parlare di povertà) , ma perché è riuscito a coinvolgere Lula nella rivoluzione dell’etanolo (l’energia prodotta con l'agricoltura primaria) proprio mentre l’asso Castro-Chàvez metteva in guardia sugli effetti nefasti: la tortilla messicana ha triplicato i suoi prezzi, il cibo deve andare al popolo non alle fabbriche. Lula aveva altra scelta? E’ sotto pressione: il suo paese non cresce come dovrebbe, il nord-est va sussidiato, le megalopoli sono sempre sull’orlo del collasso, il suo appoggio parlamentare è fragilissimo (da cui lo scandalio dei parlametari comprati), e intanto tutti premono, indicano il Brasile come player del futuro, dietro India, Cina e Russia.
La foto di Lula e Bush abbracciati, sorridenti, in linea sulla rivoluzione energetica non è piaciuta a Chávez, dall’Argentina davanti a 40 mila persone lanciava anatemi contro “el diablo” che si trovava contemporaneamente Uruguay. "Polvere cosmica" lo derideva sottolineando come allo scadere del mandato Bush sarebbe finito nel dimenticatoio mentre lui, Hugo, avrebbe perseverato nella sua lotta: una nuova riforma costituzionale gli permetterà la rielezione indefinita.
La spaccatura tra Chávez e Lula è poi diventata scontro su Rctv. Il senato brasiliano ha chiesto a Chàvez di non ritirare la concessione alla storica televisione di Marcel Granier. Ne è seguito un copione oramai noto: Chàvez offende il senato, incidente diplomatico. L’Hugo di “patria, socialismo o morte” (oramai Caracas è invasa da questo slogan) ha poi alzato il tiro, ha minacciato di uscire dal Mercosur, prima ancora di entrare, lanciando un ultimatum al legislatore brasiliano e paraguayano: ratificatemi entro settembre o me ne vado! Ad entrambi i paesi l’atteggiamento arrogante non è piaciuto. Forse l'ex tenente colonnello ha deciso davvero di lasciare il Mercato del Sud, tentativo di integrazione serio che impone anche limiti alla sovranità nazionale. Meglio impegnarsi nell’Alba (integrazione solidale bolivariana) dove i membri- Nicaragua, Cuba e Bolivia- sono meno discoli del Brasile.
Il 29 giugno Chàvez non si è presentato alla riunione del Mercosur di Asunciòn: ha preferito andare in Russia e in Iran. “Oramai- sostiene Teodoro Petkoff, direttore del quotidiano Talcual- all’integrazione regionale il presidente sta privilegiando l’agenda internazionale ideologica”. Più Iran e meno Brasile. Più socialismo meno integrazione.

sabato 14 luglio 2007

"Eccoli qui”. Si apre la porta e appaiono i computer bolivariani. La ragazza che ci accompagna ha uno sguardo soddisfatto, il turista a questo punto- da copione- deve rimanere estasiato: così è. Wow. Il centro informatico popolare “rivoluzionario” è un capolavoro di modernità: spazi asettici, puliti, area condizionata al massimo (una fissazione tutta venezuelana). Qui non ci trovi nulla del Chàvez indigenista o terzomondista: al di là della retorica la rivoluzione vuole mostrarsi moderna secondo parametri “contemporanei”: nessuna critica al paradigma tecnologico occidentale, anzi, c’è il suo continuo inseguimento, nella perpetuazione di un Venezuela che quando vuole crescere non sa farlo in maniera costante, ma istericamente: come i prezzi del petrolio.
In fila quasi un centinaio di computer con schermo piatto, scuri, eleganti. Siamo nel 23 de enero, uno dei barrios più difficili e rivoluzionari di Caracas. Se c’è qualcosa di buono nella rivoluzione, è qui che lo devi venire a cercare. “Ne sono spuntati decine di centri informatici come questi, non si paga nulla, è per la gente, per tutta la gente” dice la nostra accompagnatrice. La marca dei computer è Vit (Venezolana de Industria Tecnologica), in Venezuela li assemblano le parti arrivano dalla Cina. La fabbrica si trova nella penisola Paraguanà, lontano da Caracas sfornano quasi 150 mila unità l’anno: tutto con software free.
I palazzoni del 23 de enero, nati con la dittatura di Marcos Perez Jimenez degli anni ’50, sono ancora oggi immersi nel degrado. La pittura li ha resi più colorati, ma se giri attorno vedi volare la spazzatura dai balconi: discariche a cielo aperto. Quando piove l’odore diventa insopportabile, un piccolo lago di spazzatura come distrazione per i bambini. Se lanci le pietre possono saltellare più di tre volte. “E’ vero- dice Juan Contrears, il leader rivoluzionario più importante- i problemi ci sono, sono zone umili, i problemi ci saranno sempre, è inutile illudersi”. Allora la modernità e la miseria dovranno andare sempre a braccetto anche con la rivoluzione? Così pare. “ Purtroppo- continua Juan- molte cose deve farle lo Stato, ma ancora non le fa, per questo noi con le nostre radio comunitarie gli stiamo dietro. Per esempio, qui ancora non hanno asfaltato, ogni giorno impugno il microfono e ricordo al sindaco: devi asfaltare, devi asflatare. E poi ci accusano di essere governativi. Ma che governativi! Qui critichiamo, e critichiamo tanto, credimi”.
Ma non sono bastate le critiche per risolvere i problemi del centro informatico rivoluzionario. “Perché non c’è gente al computer ?” chiediamo sospettosi. La ragazza non vuole occultare nulla: “Perché? Te lo dico io perché! Sono tre mesi che abbiamo un problema di corrente elettrica e il Ministero non è venuto ad aggiustarlo, dicono che per la fine del mese qualcosa cambierà.” “Ma è un problema di corrente, perchè chiamare il ministero?” insistiamo. “Loro devono risolverli, loro hanno costruito questo centro”. Nel frattempo i computer nuovissimi sono in attesa, uno stand-by insopportabile per i bambini che si accalcano nel cortile della radio per giocare con due scimmiette. E’ l’ennesimo paradosso: miseria e modernità convivono, ma quest’ultima col tempo viene assorbita dal degrado. “Però- si sbriga a precisare la ragazza- questo è l’unico centro informatico (infocentro) dove le cose vanno così, altrove tutto funziona a perfezione”. Anche Juan conferma: “Non dovete pensare che qui andiamo avanti solo con l’aiuto dello Stato. Qui arrivano fondi anche dall’estero, questa radio l’abbiamo costruita assieme ad alcune associazioni indipendentiste basche: se manca qualcosa lo mettiamo di tasca nosta, è sbagliata l’idea che tutto debba farlo il governo”.
Anzi, meglio che rimanga alla larga se viene per reprimere i movimenti di protesta, lo sostiene con forza sempreJuan: “Durante la cosiddetta democrazia rappresentativa la polizia veniva solo per reprimerci, ho visto morire tanti miei compagni, tantissimi, lottavamo per l’acqua, per diritti minimi, ma eravamo un problema, la polizia era corrotta, faceva accordi con i malviventi, sequestravano la pistola, se la rivolevi dovevi pagare un prezzo”. Ora la polizia com’è? “Continua a non piacerci, ma le cose vanno meglio”.

giovedì 12 luglio 2007

CARACAS – Il “seguro sanitario” per gli italiani in Venezuela procede spedito. Non solo per quelli indigenti, per i quali le polizze sono in fase di stipulazione; ma per tutti, anche per coloro che non hanno passaporto italiano ma sono comunque “di origine italiana”. A qualunque connazionale viene infatti fornita la possibilità di stipulare – a proprie spese – un’assicurazione sanitaria alle stesse condizioni di quelle che il consolato fornisce agli indigenti, polizze che vantano caratteristiche che raramente vengono concesse quali l’accettazione di malattie pregresse, il pagamento dei farmaci, l’inesistenza dei limiti di età per gli assicurati. A fornire il quadro di cui sopra è il console generale d’Italia in Venezuela, Stefano Pontesilli. Le procedure per la stipula delle 1.000 polizze sanitarie gratuite, riferisce il console, sono state ultimate; queste polizze, emesse dalla ditta Rescarven e pagate dal consolato, beneficiano una platea di connazionali la cui condizione di indigenza o era già nota al consolato, o è stata segnalata da soggetti terzi (Cgie, Comites, Associazioni italiane in Venezuela, Case d’Italia, Centri Italiani ed enti italiani) e verificata dal consolato. Alla fine, la lista dei nomi è risultata non superiore alle polizze disponibili, cioé inferiore a mille. In realtà, spiega Pontesilli, i connazionali che avrebbero diritto alla polizza sono almeno il doppio, solo che molti sono restii a farsi aiutare, soprattutto per pudore, perché non vogliono segnalare il loro stato di povertà. Si è constatato poi che a non tutti i nominativi segnalati è stato possibile assegnare una polizza, o perché la persona indicata ha cambiato domicilio e non è stata ancora rintracciata, o perché è tornata in Italia. C’è dunque un aggiornamento continuo della lista dei beneficiari, tra nuove segnalazioni e nominativi che vengono ritirati. In ogni caso, sottolinea il console, la quantità di mille polizze, per quest’anno, si è rivelata adeguata; anzi, “c’è ancora spazio per ricevere segnalazioni”. In generale, rimarca il console, i requisiti per godere del seguro sanitario pagato dal consolato sono due: essere cittadini italiani, ed essere indigenti. Per valutare lo stato di necessità e di indigenza, il consolato tiene conto dei seguenti parametri: 1) età; 2) essere o meno inseriti nella polizza assicurativa di un familiare; 3) essere titolari di una pensione in Venezuela, e allora si valuta l’entità della pensione; o essere titolari di una pensione in Italia, e allora il seguro non si concede; 4) eventuale convivenza con familiari; 5) reddito dei familiari; 6) possesso di un’abitazione, in Venezuela o in Italia; 7) attività economica in atto o passata, e reddito derivante. Al di là di questi accertamenti, il consolato – sottolinea Pontesilli – si basa sulla conoscenza diretta delle persone da beneficiare. I nominativi scelti dal consolato sono quelli di persone cui il consolato già fornisce una qualche assistenza, proprio per il loro stato di povertà; gli altri nominativi vengono dal filtro preventivo di Cgie, Comites e compagnia, tutti soggetti già sensibilizzati sull’importanza di scegliere solo le persone adatte. La novità di questi giorni, in merito al seguro sanitario, è che “la stessa polizza assicurativa che il consolato pagherà per mille indigenti – anticipa il console – è disponibile anche per gli italiani o i cittadini di origine italiana non indigenti che volessero concluderla privatamente con Rescarven”. Il fatto di essere “di origine italiana” si presta all’interpretazione di chi eroga la polizza: “Ci siamo raccomandati con Rescarven affinché su questo punto sia sufficientemente elastica”, in particolare affinché accetti di assicurare anche coniugi e figli di italiani o ex cittadini italiani.Cittadinanza e solidarietà
“Si profilano tempi cupi per il consolato”. La preoccupazione del console Pontesilli in realtà annuncia due novità più che benvenute dagli italiani all’estero: la riapertura dei termini per chiedere la cittadinanza, che dovrebbe partire all’inizio del 2008, e l’introduzione dell’assegno di solidarietà, sui cui tempi è più difficile fare previsioni. “Il fatto è che una riapertura per la cittadinanza già ci fu tra il 1990 e il 1992. Arrivarono tante di quelle domande che in Venezuela ci vollero dieci anni per soddisfarle tutte, mentre in Argentina e Brasile le richieste devono ancora essere smaltite. Prevediamo che, qui in Venezuela, arriverebbero 150 mila nuove domande di cittadinanza”. Serve qualche impiegato in più? “Qualche? Servirebbe una task-force di dieci impiegati che si dedica esclusivamente a quello. Però devo dire – aggiunge – che il viceministro Danieli è cosciente del problema, e ha annunciato l’assunzione di 200 persone da distribuire nei consolati di tutto il mondo proprio per far fronte a questi nuovi carichi di lavoro”. Tra i quali anche la gestione dell’assegno di solidarietà. Pontesilli calcola che, in Venezuela, esistano “almeno duemila persone” che vivono in condizioni gravemente disagiate, per le quali un aiuto del genere costituirebbe “la differenza tra la vita e la morte”. E se queste persone possono andare avanti, è perché già il consolato se ne fa carico: “Per assistere i connazionali in difficoltà – rivela Pontesilli – il consolato spende quasi 600 mila euro all’anno. In genere diamo un assegno direttamente a chi ne ha bisogno, in altri casi giriamo l’assegno ad associazioni che si fanno carico dell’assistenza di queste persone, ad esempio Villa Pompei o il Comitas. L’introduzione dell’assegno di solidarietà sarebbe senz’altro un progresso. Finora l’assistenza è lasciata a iniziative disorganiche, che variano dal dare un assegno al pagare un ricovero o altro. L’assegno di solidarietà razionalizzerebbe tutto questo, ma c’è di più. Gli aiuti che forniamo agli indigenti, in quanto concessione di un singolo funzionario, possono essere visti come una forma d’elemosina, il che comporta che ci sono molti connazionali che, pur in condizioni disperate, hanno vergogna a chiedere aiuto. L’assegno di solidarietà tramuterebbe questi interventi di sostegno in un diritto riconosciuto dallo Stato italiano”.
Abbiamo incontrato il console generale di Caracas, Stefano Pontesilli, all’indomani della pubblicazione del video che, a quanto afferma il suo autore, mostrerebbe brogli elettorali commessi nelle votazioni all’estero durante le scorse elezioni politiche. Inevitabile porre alcune domande sull’argomento.In Venezuela ci sono state irregolarità? Si ricorda ad esempio l’episodio avvenuto a Margarita, dove alcune buste contenenti la scheda elettorale sono state recapitate congiuntamente con il volantino di propaganda del candidato Di Martino.“Abbiamo segnalato subito la cosa alla procura della Repubblica. In seguito a un’indagine è emerso che era stato tutto frutto dell’iniziativa di un dipendente della poste, che si era accorto che i volantini e le schede andavano recapitati alle stesse persone: ha pensato bene di allegare gli uni alle altre, per sveltire il lavoro. In generale, abbiamo ricevuto segnalazioni di infrazioni minori, che abbiamo girato alle autorità italiane. Non risulta che ci sia stato un seguito per nessuna di queste segnalazioni”.Pontesilli aggiunge quindi una considerazione: “Le irregolarità che venivano segnalate erano inevitabili in un voto che si è svolto per corrispondenza. Ma non c’era altro modo per effettuare la votazione. Certo è che una procedura di voto per corrispondenza non garantisce che il voto si svolga in maniera impeccabile. Per esempio, nessuno può garantire che una persona non raccolga le schede elettorali di amici o conoscenti e ne faccia quel che vuole”.Ritiene fattibile aprire seggi elettorali nei consolati?“Assolutamente sì, e anzi sarei ben felice se in futuro si agisse in questo modo. Certo, nei due giorni di votazione i consolati sarebbero sottoposti a una pressione durissima. Ma varrebbe la pena di sostenere un tale tour de force. Ritengo che il voto sarebbe assai più affidabile”.

martedì 10 luglio 2007

Per anni inviato del Corriere della Sera, Maurizio Chierici ha attraversato l'America Latina, anzi le Americhe, con occhio attento e appassionato. I suoi anni "americani" sono stati di entusiasmi e fallimenti. Fallimenti soprattutto. Con puntuale ciclicità l'America Latina si riscopre adolescente, pronta ad entusiasmarsi e poi a stringere i denti quando le speranze si spengono. E' un continente giovane e incompiuto. Attraverso la sua spina dorsale, le Ande, e il suo polmone, l'Amazzonia, non passa da tempo la "storia universale", ma si nascondono mille storie tragiche. Prima civiltà sottomesse, poi gli schiavi sradicati, la libertà, le guerre civili e infine democrazie e dittature incapaci, col tempo, di rispondere ai bisogni collettivi. Un'America ancora troppo debole per contare davvero. Il libro di Chierici è tutto questo: un viaggio nell' "altro occidente".
...e la deputata si ribella
"Noi emigrati sempre offesi"
Mi sento offesa e le comunità degli italiani all'estero dovrebbero ribellarsi a una rappresentazione che neanche il film 'Pane e cioccolata'". Mariza Bafile, deputata eletta per l'Ulivo nella circoscrizione America Meridionale, commenta così il video di Repubblica.it che mostra presunti brogli a favore dell'Unione nel voto per la circoscrizione Australia alle ultime elezioni politiche.Quel video, aggiunge Bafile, che riferisce di parlare anche a nome di Gino Bucchino (eletto per l'Ulivo in Nord America), "dimostrerebbe che le nostre comunità all'estero sono di una tale ignoranza da non capire neanche cosa stanno scrivendo". "Considero questa accusa - sottolinea Bafile - un'offesa all'intelligenza degli italiani all'estero. E' assurdo dire a una persona che stiamo votando per lui e poi scrivere il nome di un altro e indicare il simbolo di un altro partito. Significa che i nostri connazionali sono incapaci di legge e scrivere cosa che non è assolutamente vera". "Riteniamo - conclude - che questa sia una tattica per attaccare in generale il voto degli italiani all'estero per portare avanti una campagna tesa ad abolire il voto degli italiani all'estero. Perché se veramente avessero avuto prove avrebbero dovuto portarle all'inzio della legislatura alla magistratura".
Conoco Philips e Exxon Mobil
...a casa
La Pdvsa, multinazionale petrolifera governativa, avanza. Ha ora assunto il controllo del 100% della partecipazione che le imprese Conoco Phillips ed Exxon Mobil avevano in operazioni estrattive nella fascia petrolifera dell'Orinoco. Le due compagnie fanno le valigie e se ne vanno dopo aver rifiutato i termini del progetto di nazionalizzazione delle risorse petrolifere venezuelane predisposto dal presidente Chávez (l'impresa mista con maggioranza dello stato). Inizia ora un’altra battaglia: negoziare, entro il 26 agosto, le modalità di indennizzo finanziario. In un comunicato, il presidente di Pdvsa, Rafael Ramirez, ha confermato: “Stiamo operando al 100% con le partecipazioni che avevano. Manca ora solo giungere ad un accordo economico, obiettivo per cui responsabili di entrambe le imprese stanno trattando con noi".Delle undici imprese che operavano nella prospezione, estrazione e sfruttamento del greggio nella fascia dell'Orinoco, sette (Chevron Texaco, Statoil, Total, BP, Eni e Sinopec e Inelectra) hanno accettato di mantenere una quota di minoranza.

lunedì 9 luglio 2007

E’ l’8 giugno, mia madre è su un autobús che da Puerto la Cruz va a Caracas, lì lei vive. Alle 4 del pomeriggio, vicino alla fermata de “ElGuapo” inizia a vomitare sangue, sviene, passa la polizia e la porta in un ambulatorio, quello de “El Guapo”. Qui la mettono in terapia intensiva. Avviasano i miei familiari, arriva mio fratello. El Guapo è a due ore e mezza da Caracas.
Da lì lei non si può muovere perchè le condizioni sono gravi. E’ un’emorragia cerebrale. Mio fratello e sua moglie vanno a dormire in una posada vicino. Senza acqua e con un bagno in comune per tutti gli ospiti. I giorni successivi preferiscono dormire in macchina. Al quarto giorno i medici decidono di inviarla a Carcas in ambulanza per farle una tomografia in ospedale. La portano, le fanno la tomografia e la riportano indietro. Non c’è un letto libero in nessun ospedale di Caracas. Mia madre sta male, le sue condizioni sono gravi e nel Guapo non c’è nessun medico specializzato che possa aiutarla. Dopo 11 giorni io arrivo dall’Italia, vedo mia madre: è in una condizione davvero triste, la struttura sanitaria piena di mosche, con bacinelle per raccogliere le infiltrazioni, le gocce d’acqua. Alla fine contatto un’amica e riesco a trovare un posto a Caracas. Mi assumo tutte le responsabilità del trasferimento, tanto dal quarto giorno non aveva neanche i tubi per la respirazione. Arrivo all’Ospedale “Vargas”, e dopo due ore di viaggio in un’ambulanza caldissima la portiamo nel settore emergenza. Il medico mi chiede un’altra tomografia. Io prima di arrivare in ospedale ho cercato di farla Avevo prenotato in una struttura privata chiamata “Hospital de Clinicas Caracas”, qui non trovano la prenotazione, né c’è personale per farla, inoltre, dopo un viaggio difficile, nonostante le condizioni di salute, bisognava aspettare comunque trenta minuti: il tempo necessario affinché io pagassi un milione di bolivares, il prezzo della tomografia.
Il giorno seguente i Pompieri di Caracas ci promettono un’ambulanza per fare finalmente la. L’ambulanza non arriva, chiamo trenta volte, alla fine mi decido per un’ambulanza privata. Riesco a trasportarla, ma devo pagare 350 mila bolivares all’andata, più il ritorno, più il costo della tomografia. Una volta rientrato in Ospedale i medici mi chiedono di fare un altro esame, l’Angiotac. Devo chiamare un’altra ambulanza, rifare un’altra volta tutta la trafila. Ovviamente è a pagamento. Al ritorno i medici mi dicono che l’esame non si vede bene perchè è di cattiva qualità, devo ripetere l’esame. Questa volta però durante il viaggio mia madre ha un’altra emorragia.
Torniamo al settore d’emergenza del Vargas: è in condizioni pessime, sporco e con personale scortese. un giorno un medico e un familiare iniziano a picchiarsi, senza rispetto per gli altri malati. Dall’Emergenza la spostano in Neurochirurgia, qui lo spazio è davvero poco, per i pazienti ci sono i cubicoli, per i familiari il pavimento La seconda volta le ripetiamo la Angiotac in un’altra clinica e i dottori ripetono la stessa cosa: non è di buona qualità, decidono allora di farle una risonanza magnetica e quando torno neanche questa è di buona qualità. Che inferno.
Il cinque luglio i medici, poi, invece di fare le visite di rito ai pazienti stanno a casa, bisogna così aspettare il giovedì successivo.
L’8 luglio mia madre compie un mese dal giorno dell’emorragia cerebrale, non sappiamo nulla di concreto, un aneurisma? Un tumore che sanguina, o forse un’ematoma? Tante diagnosi differenti. Chi può davvero aiutare mia madre, dobbiamo aspettare che muoia per avere un risultato? Dov’è la sanità nel mio paese. L’ospedale Vargas è orribile, spazzatura all’entrata, cattivo odore, persone nelle corsie con ferite gravi.
Le medicine non ci sono, bisogna uscire e comprarle. Chi può davvero aiutare mia madre? L’unica cosa che vorrei con questa lettera è ottenere un medico specialista che possa occuparsi di lei, che l’aiuti davvero. Siamo gente umile, non ricchi. Il fatto che io stia vivendo in Italia non vuol dire che sono ricca, come pensano in Venezuela. Mio marito ha uno stipendio minimo e un contratto a termine, e il costo della vita in Italia è molto alto. Io lavoro occupandomi dei bambini, visto che qui in Sardegna non riesco a trovare un posto fisso.
Qualcuno può aiutarmi, non voglio denaro, solo medici che possano curare mia madre senza essere al di là del denaro, ma animati dalla voglia di compiere un gesto umano per un altro essere umano.
Grazie
Angelica Vargas

domenica 8 luglio 2007

NAPOLI- Un busto di Bolivar dal 5 luglio domina il Parco Virgiliano di Napoli. Figura fiera, retta, severa è posta lì a controllare che il Golfo di Napoli continui ad alimentare le gesta epiche degli eroi: Giuseppe Garibaldi il 7 settembre 1860 entra trionfante nella capitale delle due Sicilie. E’ stata appena abbandonata dal re Francesco II, l’unitá d’Italia incrocia la capitale più instabile del Mediterraneo. Due secoli prima Masaniello, un 7 luglio, inspira una delle rivolte più feroci contro i banchi dell’imposte, sono i giorni di Masaniello e il popolo pensava davvero di fare la rivoluzione, prima della Francia.
Come allora Napoli è inquieta, agitata, incapace di prendere le misure ai problemi: i rifiuti, le periferie, la mancanza di lavoro. Città che danza disperata, tarantolata, ha difficoltà a trovare una sua età dell’oro. Ricade continuamente nelle solite paure, in quel perenne stato d’emergenza con cui ha imparato a convivere. “Adda passà a nuttata” sospirava Eduardo De Filippo, e quel grido smorzato, lanciato agli sgoccioli della seconda guerra mondiale, replicava all’infinito il pianto di una città troppo spesso sconfitta, terra di conquista: romani, bizantini, normanni, spagnoli, e poi di rivolte, tumulti popolari caduti nel nulla: la città, anche liberata, non riesce a ritrovare se stessa, la sua identità è nascosta in un passato indecifrabile. Su di lei si va a poggiare lo sguardo tranquillo, alto e soprattutto ottimista di Bolivar, che morì povero, sconfitto, ma consapevole: fino all’ultimo uomo avrebbe cantato le sue gesta. Nel parco il busto è rivelato da una targa: sopra il nome del Libertador. Non sarà necessaria leggerla per i tanti emigranti italo-venezolani che vivono soprattutto in provincia di Salerno: per loro Bolivar è parte della memoria, lo conoscevano fin dall’arrivo delle navi in Venezuela: la piazza Bolivar, la moneta, le statue. Come Garibaldi è stato simbolo di una lotta che ha percorso i fremiti di libertà di due continenti, Garibaldi esiliato in America Latina, Bolivar che giura sul Montesacro di Roma: entrambi non avranno mai pace, moriranno sconfitti. All’inaugurazione è presente il sindaco Rosa Russo Iervolino, assieme all’ambasciatore La Cava svelano il busto. L’ambasciatore sospira: “Spero che Bolivar contribuisca a mantenere vivi i concetti di giustizia, sovranità, libertà, democrazia e integrazione”. A dare la misura della grandezza del condottiero ci pensa il professore Antonio Scocozza in una conferenza a lui dedicata: “Bolivar fondava repubbliche, mentre in Europa la Santa Alleanza ristabiliva monarchie dappertutto. Bolivar è al cento per cento un repubblicano. Fu un grande uomo senza un grande popolo”.
Cucù, e il Venezuela non c’è più. Ha sbattuto il muso contro l’Uruguay, ultima qualificata del girone eliminatorio, capace di cacciare gli artigli e umiliare la vinotinto che già un piccolo passettino nella storia l’aveva fatto, classificandosi tra le prime otto. La prima Coppa America in terra venezuelana non ha trascinato il paese come forse qualcuno si aspettava, minore l’entusiasmo rispetto ai mondiali, vissuto come evento goliardico animato dagli sfotto tra emigranti portoghesi, spagnoli e italiani, quest’ultimi e i venezuelani, generalmente filo-brasiliani.
Caracas ha seguito la sua coppa con distacco, pochi i colori della vinotinto, amara consapevolezza che il calcio rimane uno sport poco tropicale. Non basta il campioncino Arango(nella foto) per risolvere i problemi del Venezuela.
La mancanza di astri brasiliani ha privato l’evento di quella spettacolarità necessaria per suggestionare il popolo. Troppo pochi i campioni, si ci può emozionare per uno stantio Recoba? Caracas è stata emarginata dai giochi, complice la mancanza di strutture, dovrà accontentarsi di una tristissima finale per il terzo e quarto posto.
Cucù, e il Venezuela non c’è più. Ha sbattuto il muso contro l’Uruguay, ultima qualificata del girone eliminatorio, capace di cacciare gli artigli e umiliare la vinotinto che già un piccolo passettino nella storia l’aveva fatto, classificandosi tra le prime otto. La prima Coppa America in terra venezuelana non ha trascinato il paese come forse qualcuno si aspettava, minore l’entusiasmo rispetto ai mondiali, vissuto come evento goliardico animato dagli sfotto tra emigranti portoghesi, spagnoli e italiani, quest’ultimi e i venezuelani, generalmente filo-brasiliani.
Caracas ha seguito la sua coppa con distacco, pochi i colori della vinotinto, amara consapevolezza che il calcio rimane uno sport poco tropicale. Non basta il campioncino Arango(nella foto) per risolvere i problemi del Venezuela.
La mancanza di astri brasiliani ha privato l’evento di quella spettacolarità necessaria per suggestionare il popolo. Troppo pochi i campioni, si ci può emozionare per uno stantio Recoba? Caracas è stata emarginata dai giochi, complice la mancanza di strutture, dovrà accontentarsi di una tristissima finale per il terzo e quarto posto.

sabato 7 luglio 2007

Alberto Muller Rojas (socialista ma non più chavista), un tempo capo dello Stato maggiore presidenziale e ora membro (senza aver lasciato la divisa) della commissione per la promozione del Psuv, partito socialista unito, il 30 giugno dimentica una delle regole prime per un buon bolivariano: “Non contraddire Chàvez”, e in una intervista sbotta. Alla domanda se la sua nomina all’interno della commisione per la promozione del nuovo partito socialista unito confermi la confusione tra militari e politica, risponde: “Certo, ci sono altri indicatori”. Quali? “La presenza di militari uniformati in atti politici, c’è la politicizzazione delle forze armate, con l’adozione da parte dell’esercito del grido “patria, socialismo o morte”.
Dall’Iran il presidente risponde piccato: “Ma cosa succede? Che dichiarazioni strane! E’ una menzogna che l’esercito sia polticizzato. Il generale Muller dice le stesse cose dell’avversario, io sono il primo a non volere che la Forza Armata sia di parte di un partito”. Chi ha ragione dei due? Chàvez è ferito dalle dichiarazioni di un sincero socialista, quella di Muller Rojas non è però un’uscita contro il presidente (nell’intervista il generale parla della politicizzazione in termini positivi, lui ne è un esempio lampante: militare in carica e membro di un partito). Le sue, lo si capisce scorrendo l’intervista, sono parole contro Ameliach e l’ex-ministro delle difesa Orlando Maniglia (di origini napoletane) che vogliono far passare l’idea nordamericana di un esercito di professionisti e non del popolo (quindi poco socialista per un compagno come Muller), probabilmente per aumentare la obbedienza della divisa nei confronti del potere politico e scongiurare colpi di stato. Chàvez su questo punto è incerto: sa che le Forze Armate sono difficili da controllare: per quanto si illuda di convincerle con gli slogan socialisti, sono poco socialiste. Fino ad ora la convivenza è stata pragmatica, il governo ha chiuso un occhio rispetto agli atti di corruzione dei militari, innegabili, ma sospetta sempre manovre oscure all’interno? Non dimentichiamoci che Chàvez nasce come cospiratore militare, quello del “cuartel” è un mondo che conosce bene, è abituato a diffidare.
Da un lato vuole un esercito popolare, autenticamente socialista e capace di difendere la rivoluzione alla cubana, dall’altro sa che questo potrebbe essere un rischio per la propria leadership (creerebbe un corpo troppo forte, di peso politico e armato), mentre la professionalizzazione gli farebbe dormire sonni tranquilli: smusserebbe gli aneliti di comando sostituendo ad appassionati semplici burocrati.
Intanto il ministro Baduel è stato sostituito, ha dimostrato poco polso dinanzi alle difficoltà di questi giorni. Al suo posto arriva Gustavo Rangel Briceño. E’ il nono ministro della difesa, un sintomo preciso della diffidenza di Hugo Boss. Gli altri sono stati Raúl Salazar (febbraio 1999-febbraio 2000), Ismael Hurtado (febbraio 2000-febbraio 2001), José Vicente Rangel (febbraio 2001-aprile 2002), Lucas Rincón (aprile 2002-luglio 2002), José Luis Prieto (luglio 2002-gennaro 2004), Jorge Luis García Carneiro (gennaro 2004-luglio 2005), Orlando Maniglia (luglio 2005-luglio 2006) y Raúl Isaías Baduel (luglio 2006-lugio 2007).

venerdì 6 luglio 2007

Piccoli furti a Caracas

Ritorno a Caracas, e lei, città cresciuta senza senso, si presenta subito così com’è, senza mediazioni. Entro in un supermercato (Central Maiderense), un uomo strilla: “Non c’è pollo, non c’è carne, la inviano negli altri paesi”. Una signora piange, le hanno sottratto dalla borsa soldi e documenti. Assieme a lei ci sono altre vittime, un gruppo di ladruncoli ha compiuto la sua piccola strage quotidiana. La guardia è perplessa, cerca di dare la colpa alle signore (“Dovete stare attente”) poi ammette: “Una volta, quando ho tentato di fermarli, mi hanno spaccato una bottiglia in testa”. Invece riesce a fermare un uomo alla cassa, nella sua giacca contenitori di plastica, con calma viene portato nella stanza dei controlli. Un attimo prima quell’uomo strillava: "Non c’è pollo, non c’è carne”. Welcome.

IL BUSTO DI BOLIVAR E LA CONTESTAZIONE DI AN

E’ un piccolo gruppetto, una decina di persone. Sono i contestatori di Alleanza Nazionale. Arrivano per partecipare, a modo loro, all’inaugurazione di un nuovo busto di Simòn Bolivar a Napoli. Il messaggio è netto, forte: “Il Venezuela di Chàvez è una dittatura”. La console si arrabbia, mastica amaro anche l’ambasciatore Rafael La Cava che il giorno prima entusiasmava i presenti alla Feltrinelli: “Il presidente Chàvez ha un cuore grande così!” e allargava le braccia stressando la giacca (Maurizio Chierici, editorialista dell’Unità, l’osserva imbarazzato). La sindaca di Napoli, Rosa Russo Iervolino, è presente. Probabilmente scopre il Venezuela proprio seguendo le lettere dei due manifesti, quello rosso chavista della Napoli Antimperialista e quello dei ragazzi di destra. La spaccatura del Venezuela arriva oltre l’Oceano, Chávez non è più solo affare dei venezuelani, è affare di tutti. E’ simbolo della libertà e della sua mancanza, della democrazia e del suo annichilimento, della giustizia e della sua manipolazione. l’interpretazione contraddittoria la vive ogni parola, ma diventa scontro quando il dibattito esce dalle aule e percorre la piazza.
Manca l’atteso viceministro Rodrigo Chaves Samudio, confermando una prassi tutta italiana: dove c’è l'ambasciatore La Cava (il Sarkozy dei Parioli) non c’è Samudio, tra i due (il primo uomo di Maduro, il secondo filiazione diretta del presidente) non corre buon sangue. (Ringraziamo Giovanni Piccolo per le foto)

mercoledì 4 luglio 2007

DI LUCA SPADACCINI SUL VENEZUELA

l risultato del Venezuela mi inorgoglisce, ho seguito in questi ultimi anni l'eccellente lavoro del suo Commissario Tecnico PAEZ, che, pur mancando ancora di esperienza internazionale, ha saputo dare un'organizzazione a tutta la Vinotinto. Insomma, il lavoro iniziato già prima delle ultime qualificazioni mondiali sta producendo i suoi frutti e se nei quarti di finale finalmente, si vedrà anche il maggiore apporto tecnico e la forza del giocatore ad oggi più rappresentativo ARANGO (sin ora un po in ombra) non è peccato pensare alla grande e sognare la semifinale.
Le basi per il futuro dello "sport più bello del mondo" (E.GALEANO) ci sono e la gioventù non manca, sarebbe bello incentivare maggiormente questo sport, risistemare tutti i campetti di periferia disseminati in tutto il paese e organizzare delle scuole calcio per i più piccoli che, attenti ed influenzati dal clima di entusiamo prodotto dalla COPA AMERICA, parteciperebbero con passione e con i loro sogni.... Chicos, in un paese dove il BEISBALL la fa da padrone i ragazzi e tutto lo staff-tecnico hanno fatto un'impresa...e l'hanno fatto solo con la loro forza.... supportati dai loro colorati e stupendi tifosi ...GRAZIE VENEZUELA.

VENEZUELA, UNA QUALIFICAZIONE STORICA

Il Venezuela ha raggiunto i quarti di finali della Coppa America, è un risultato minimo ma storico per un paese che in cui il calcio lo giocava qualche emigrante europeo, mentre il baseball incolla la tv un paese intero, anima le speranze di rivincite dei barrios. Sport estremamente utile per leggere un libro ed emozionarsi allo stesso tempo. Ma questa è la visione di un europeo, chi conosce il baseball sa che c’è attorno una ritualità, una “fissità” dello sguardo, una perentorietà dei gesti, accompagnati prima da una interminabile lentezza, che lo rendono unico. E’ bersi una birra tutto di un fiato, il calcio invece condividere una pizza al metro.
Il Venezuela è passato grazie ad un brutto pareggio per 0-0 con l'Uruguay, che ha consentito però a entrambe di raggiungere le già qualificate Argentina, Messico e Paraguay. Con loro, nel gruppo A, passa il Perù grazie a un gol di Claudio Pizarro a 5' dalla fine che ha eliminato la Bolivia.Il sorprendente Venezuela ha terminato imbattuto il girone A, finendo addirittura in testa. Sabato, ai quarti, potrà toccargli una delle migliori terze: probabilmente Cile o Uruguay.La partita contro i biancocelesti è stata la prima senza reti e la più brutta disputata fin qui. Nessuna delle due squadre si è sforzata più di tanto per vincere e l'Uruguay è passato ai quarti pur avendo segnato un solo gol.Emozioni fino all'ultimo, invece, nell'altra sfida del girone, quella che ha consentito al Perù di strappare il passaggio ai quarti in extremis. La Bolivia, fino al 40' del secondo tempo, stava vincendo 2-1 dopo essere stata raggiunta sull'1-1 e sarebbe stata promossa al turno successivo. Claudio Pizarro però, era in serata di grazia e - dopo aver pareggiato una prima volta - è riuscito a deviare in porta di testa una punizione di Juan Carlos Marino e a regalare la qualificazione ai suoi. Impresa non trascurabile, visto che da 7' i peruviani giocavano in dieci per l'espulsione (doppia ammonizione) di Herrera. Partita dura (un cartellino rosso e nove gialli) e Bolivia a casa: "Nessuno ci ha dominato - ha lamentato alla fine il ct Erwin Sanchez - nessuno ci ha dato lezioni. Sono fiero dei miei ragazzi e del lavoro che ognuno di noi ha fatto". Julio Cesar Uribe, tecnico peruviano, ha ammesso che la sua squadra "deve migliorare" e che "non tutti hanno fatto in campo abbastanza per consentire a questa squadra di giocare come sa".

VENEZUELA, UNA QUALIFICAZIONE STORICA

Il Venezuela ha raggiunto i quarti di finali della Coppa America, è un risultato minimo ma storico per un paese che in cui il calcio lo giocava qualche emigrante europeo, mentre il baseball incolla la tv un paese intero, anima le speranze di rivincite dei barrios. Sport estremamente utile per leggere un libro ed emozionarsi allo stesso tempo. Ma questa è la visione di un europeo, chi conosce il baseball sa che c’è attorno una ritualità, una “fissità” dello sguardo, una perentorietà dei gesti, accompagnati prima da una interminabile lentezza, che lo rendono unico. E’ bersi una birra tutto di un fiato, il calcio invece condividere una pizza al metro.

Il Venezuela è passato grazie ad un brutto pareggio per 0-0 con l'Uruguay, che ha consentito però a entrambe di raggiungere le già qualificate Argentina, Messico e Paraguay. Con loro, nel gruppo A, passa il Perù grazie a un gol di Claudio Pizarro a 5' dalla fine che ha eliminato la Bolivia.
Il sorprendente Venezuela ha terminato imbattuto il girone A, finendo addirittura in testa. Sabato, ai quarti, potrà toccargli una delle migliori terze: probabilmente Cile o Uruguay.
La partita contro i biancocelesti è stata la prima senza reti e la più brutta disputata fin qui. Nessuna delle due squadre si è sforzata più di tanto per vincere e l'Uruguay è passato ai quarti pur avendo segnato un solo gol.
Emozioni fino all'ultimo, invece, nell'altra sfida del girone, quella che ha consentito al Perù di strappare il passaggio ai quarti in extremis. La Bolivia, fino al 40' del secondo tempo, stava vincendo 2-1 dopo essere stata raggiunta sull'1-1 e sarebbe stata promossa al turno successivo. Claudio Pizarro però, era in serata di grazia e - dopo aver pareggiato una prima volta - è riuscito a deviare in porta di testa una punizione di Juan Carlos Marino e a regalare la qualificazione ai suoi. Impresa non trascurabile, visto che da 7' i peruviani giocavano in dieci per l'espulsione (doppia ammonizione) di Herrera. Partita dura (un cartellino rosso e nove gialli) e Bolivia a casa: "Nessuno ci ha dominato - ha lamentato alla fine il ct Erwin Sanchez - nessuno ci ha dato lezioni. Sono fiero dei miei ragazzi e del lavoro che ognuno di noi ha
fatto". Julio Cesar Uribe, tecnico peruviano, ha ammesso che la sua squadra "deve migliorare" e che "non tutti hanno fatto in campo abbastanza per consentire a questa squadra di giocare come sa".

Venezuela, storica qualificazione

Il Venezuela ha raggiunto i quarti di finali della Coppa America, è un risultato minimo ma storico per un paese che in cui il calcio lo giocava qualche emigrante europeo, mentre il baseball incolla la tv un paese intero, anima le speranze di rivincite dei barrios. Sport estremamente utile per leggere un libro ed emozionarsi allo stesso tempo. Ma questa è la visione di un europeo, chi conosce il baseball sa che c’è attorno una ritualità, una “fissità” dello sguardo, una perentorietà dei gesti, accompagnati prima da una interminabile lentezza, che lo rendono unico. E’ bersi una birra tutto di un fiato, il calcio invece condividere una pizza al metro.

Il Venezuela è passato grazie ad un brutto pareggio per 0-0 con l'Uruguay, che ha consentito però a entrambe di raggiungere le già qualificate Argentina, Messico e Paraguay. Con loro, nel gruppo A, passa il Perù grazie a un gol di Claudio Pizarro a 5' dalla fine che ha eliminato la Bolivia.
Il sorprendente Venezuela ha terminato imbattuto il girone A, finendo addirittura in testa. Sabato, ai quarti, potrà toccargli una delle migliori terze: probabilmente Cile o Uruguay.
La partita contro i biancocelesti è stata la prima senza reti e la più brutta disputata fin qui. Nessuna delle due squadre si è sforzata più di tanto per vincere e l'Uruguay è passato ai quarti pur avendo segnato un solo gol.
Emozioni fino all'ultimo, invece, nell'altra sfida del girone, quella che ha consentito al Perù di strappare il passaggio ai quarti in extremis. La Bolivia, fino al 40' del secondo tempo, stava vincendo 2-1 dopo essere stata raggiunta sull'1-1 e sarebbe stata promossa al turno successivo. Claudio Pizarro però, era in serata di grazia e - dopo aver pareggiato una prima volta - è riuscito a deviare in porta di testa una punizione di Juan Carlos Marino e a regalare la qualificazione ai suoi. Impresa non trascurabile, visto che da 7' i peruviani giocavano in dieci per l'espulsione (doppia ammonizione) di Herrera. Partita dura (un cartellino rosso e nove gialli) e Bolivia a casa: "Nessuno ci ha dominato - ha lamentato alla fine il ct Erwin Sanchez - nessuno ci ha dato lezioni. Sono fiero dei miei ragazzi e del lavoro che ognuno di noi ha
fatto". Julio Cesar Uribe, tecnico peruviano, ha ammesso che la sua squadra "deve migliorare" e che "non tutti hanno fatto in campo abbastanza per consentire a questa squadra di giocare come sa".

VENEZUELA, UNA QUALIFICAZIONE STORICA

Il Venezuela ha raggiunto i quarti di finali della Coppa America, è un risultato minimo ma storico per un paese che in cui il calcio lo giocava qualche emigrante europeo, mentre il baseball incolla la tv un paese intero, anima le speranze di rivincite dei barrios. Sport estremamente utile per leggere un libro ed emozionarsi allo stesso tempo. Ma questa è la visione di un europeo, chi conosce il baseball sa che c’è attorno una ritualità, una “fissità” dello sguardo, una perentorietà dei gesti, accompagnati prima da una interminabile lentezza, che lo rendono unico. E’ bersi una birra tutto di un fiato, il calcio invece condividere una pizza al metro.
Il Venezuela è passato grazie ad un brutto pareggio per 0-0 con l'Uruguay, che ha consentito però a entrambe di raggiungere le già qualificate Argentina, Messico e Paraguay. Con loro, nel gruppo A, passa il Perù grazie a un gol di Claudio Pizarro a 5' dalla fine che ha eliminato la Bolivia.Il sorprendente Venezuela ha terminato imbattuto il girone A, finendo addirittura in testa. Sabato, ai quarti, potrà toccargli una delle migliori terze: probabilmente Cile o Uruguay.La partita contro i biancocelesti è stata la prima senza reti e la più brutta disputata fin qui. Nessuna delle due squadre si è sforzata più di tanto per vincere e l'Uruguay è passato ai quarti pur avendo segnato un solo gol.Emozioni fino all'ultimo, invece, nell'altra sfida del girone, quella che ha consentito al Perù di strappare il passaggio ai quarti in extremis. La Bolivia, fino al 40' del secondo tempo, stava vincendo 2-1 dopo essere stata raggiunta sull'1-1 e sarebbe stata promossa al turno successivo. Claudio Pizarro però, era in serata di grazia e - dopo aver pareggiato una prima volta - è riuscito a deviare in porta di testa una punizione di Juan Carlos Marino e a regalare la qualificazione ai suoi. Impresa non trascurabile, visto che da 7' i peruviani giocavano in dieci per l'espulsione (doppia ammonizione) di Herrera. Partita dura (un cartellino rosso e nove gialli) e Bolivia a casa: "Nessuno ci ha dominato - ha lamentato alla fine il ct Erwin Sanchez - nessuno ci ha dato lezioni. Sono fiero dei miei ragazzi e del lavoro che ognuno di noi ha fatto". Julio Cesar Uribe, tecnico peruviano, ha ammesso che la sua squadra "deve migliorare" e che "non tutti hanno fatto in campo abbastanza per consentire a questa squadra di giocare come sa".