martedì 31 luglio 2007
IL SOCIALISMO DEL PETROLIO
In realtà l’amicizia castrista avrebbe potuto essere anche un auto-goal, ma ci pensò poco e si lasciò trascinare dai sentimenti: il mito di Fidel ha accompagnato Chàvez fin dall’infanzia, quando a Sabaneta di Barinas, nella pianura venezuelana, vendeva a scuola le merendine che preparava la nonna . Lo confessa nel libro intervista Habla el Comandante di Blanco Muñoz: “Avevo solo 13 anni e sentivo per radio che Che Guevara era circondato in Bolivia. Ero un bambino e mi chiedevo: perchè Fidel non manda degli elicotteri a prenderlo. Ero solo un bambino, ma già mi identificavo pienamente con la sua causa”. Fidel, di 28 anni più grande, prima idolo poi “hermano”, ha per i venezuelani un significato particolare. Non solo ha ispirato la guerriglia degli anni ’60 (pacificata), ma ha costruito un paese, Cuba, sulla cui qualità della vita i venezuelani, di qualsiasi classe sociale, nutrono seri dubbi.
Nel 1999, in una interminabile conferenza stampa di undici ore Fidel, messo con le spalle al muro dalle domande dei giornalisti venezuelani, taglia la testa al toro: “Chavez non è in linea con la filosofia del socialismo e del marxismo”. E poi “non l’ho ma ascoltato dire una sola parola sulla voglia di creare comunismo in Venezuela”. Lo stesso presidente Chàvez lo sottolinea più volte. In Alò Presidente del 9 giugno 2003 sbotta: “Se fossi comunista lo avrei detto”.
Il suo governo però, in una strana scalata terminologica, ha cambiato pelle lungo il cammino. Prima bolivariano poi socialista.
All’inizio di socialismo o lotta di classe nessuno parlava, anzi ci fu un tempo in cui l’ex-tenente colonnello si dichiarò, negli anni rampanti del blairismo, quando ancora non era presidente, addirittura epigono della terza via. Ma al socialismo- giurano i suoi discepoli- c’è arrivato senza volerlo, costretto a barricarsi dentro una dottrina non sua, che però gli forniva strumenti ideologici e propagandistici per difendersi dall’oligarchia corrotta e affarista (vocabolario chavista). La sua vittoria nel 1998 non lasciava immaginare che sarebbe arrivato così lontano. Aveva vinto intercettando la voglia di cambiamento, dopo quaranta anni di democrazia di cui gli ultimi venti fallimentari, e giurando di spezzare in due i corrotti e gli inefficienti.
Oramai sono quasi 9 anni che sta al governo, e il progetto si è rivelato. Si chiama socialismo (del petrolio), costruzione dello stato socialista e dell’uomo nuovo. Una duplice combinazione che lascia intravedere il tentativo di voler prendersi una rivincita sulla storia: un secolo di esperienze comunista fallimentari.
Ma il Venezuela è diverso, possiede il petrolio, e soprattutto punta a far forza su alcuni elementi di grande innovazione. 1) La storia dei comunismi è stata fino ad ora bloccata nello schema della guerra fredda, ora invece la geopolitica favorisce alleanze più ardite 2) i fallimenti del comunismo reale sono una lezione di cui dovrà tener conto, quindi il suo comunismo dovrà essere diverso, o lui un pazzo 3) La rivoluzione dei mezzi di informazione, con la crisi dei mass media e l’avanzamento del network, dovrebbe portare a una duplice consapevolezza. Primo che è impossibile costruire il consenso controllando i flussi informativi o isolandosi, dunque converrà fare i conti con l’opinione pubblica internazionale. Secondo che essendo lo schieramento ideologico a lui affine all’avanguardia nell’indirizzare l’opinione pubblica on-line, dovrebbe avere più facilità a far passare i suoi messaggi “alternativi” e la sua verità. Ma questa è pura speculazione. Quei messaggi alternativi occupano quantitativamente la rete, ma difficile misurare l'effettivo grado d'incidenza.
lunedì 30 luglio 2007
L'AMBASCIATORE GERARDO CARANTE SU EL NACIONAL APPOGGIA CHAVEZ
domenica 29 luglio 2007
Gerardo Carante se ne va, il suo un rapporto difficile con gli emigranti
sabato 28 luglio 2007
LUIGI MACCOTTA NUOVO AMBASCIATORE A CARACAS
SARKOZY IN VENEZUELA?
giovedì 26 luglio 2007
SEV VENISSE SARKOZY?
Zapatero è un democratico che ha vissuto sulla sua pelle l’oscurantismo franchista, rappresenta la classe politica spagnola terrorizzata da personaggi che possano anche remotamente sembrare dittatori, Chávez non lo è (è autoritario) ma il suo culto della personalità spaventa. Non a casa durante la corsa per il seggio di sicurezza all’Onu la Spagna non ebbe tentennamenti: votò contro Chàvez. L’incontro tra Sarkozy e Chàvez (uomo nero e uomo rosso) oltre all’entusiasmante accostamento cromatico, riproporrà due figure antropologicamente simili: burberi e amiconi, motivati dal potere, dall’aspetto autoritario e dai modi imprevedibili, sono convinti entrambi di avere un compito che vada al di là della buona amministrazione, vogliono fare cose straordinarie.L’Italia invece ha inviato in Venezuela pochi politici di peso. La presenza più elevata è stata quella del ministro per gli Italiani all’estero Mirko Tremaglia: incontrò soprattutto gli italiani a cui lo lega un amore parzialmente ricambiato.Anche l’Ambasciatore in Venezuela Gerardo Carante ha ripetutamente affermato di voler far arrivare un esponente di peso del nostro governo. Uno sforzo vano, il suo mandato è scaduto e nessun aereo di Stato ha sganciato il carrello ai tropici. Peccato, l’Italia in Venezuela ha una costola e molti interessi (infrastruttura, macchinaria medica, Eni) . Almeno un Bertinotti Chávez se lo meritava, più dell'Italia!
mercoledì 25 luglio 2007
IL SOCIALISMO E LA CULTURA DI STATO
martedì 24 luglio 2007
SOS SEQUESTRI DI ITALIANI IN VENEZUELA
Nessuna novità per quanto riguarda il sequestro del 18enne italovenezuelano Matthew Short de Panfilis, rapito martedì 17 luglio a Maracaibo. I suoi rapitori non si sarebbero più fatti sentire sin da quel giorno, quando una breve telefonata avrebbe avvertito la famiglia del rapimento. In questo caso si ritiene che sia coinvolta la guerriglia colombiana, le cui azioni in Venezuela sono state denunciate dalla stampa e ammesse dalle autorità. Ad esempio, venerdì scorso, due giovani sono state sottratte alla famiglia da un commando di venti uomini armati che le è andate a prelevare nella loro casa, all’interno di una tenuta agricola nello stato Zulia. Lo stesso ministro dell’Interno, Pedro Carreño, parlando sabato ai giornalisti, ha ammesso l’esistenza di un’emergenza sequestri, attribuendola a funzionari di polizia corrotti e alla situazione di caos che esiste nella “repubblica sorella” di Colombia. Ha quindi esortato a una rapida approvazione della “Ley Antiextorsión y Secuestro”, affinché – ha detto – “il Venezuela non si converta in un paradiso per i fattori che generano la violenza in Colombia, che questo paese non diventi un rifugio di questi soggetti”.
Secondo dati della polizia, in questi primi sette mesi del 2007 si sono avuti (includendo il caso Cieri) 108 sequestri; 41 ostaggi sono tuttora in prigionia, 51 sono stati liberati dai rapitori, tre sono fuggiti, cinque sono stati uccisi e nove sono stati salvati dalla polizia.
CHAVEZ CONTRO LA CHIESA, TEOLOGIA DELLA LIBERAZIONE CONTRO FRANCHISMO
CHAVEZ NOSTRO CHE SEI NEI CIELI
Il Venezuela ha una struttura istituzionale presidenziale, il presidente risponde al popolo, non al parlamento, e concentra poteri senza molti contrappesi. La Costituzione voluta da Chàvez nel 1998 riconosceva questa concentrazione di potere, superava così il rischio della perpetuazione attraverso la previsione del limite di due mandati consecutivi di 6 anni. Anche troppo per un paese che nella Costituzione precedente, del 1961, aveva vietato qualsiasi rielezione consecutiva cosciente del significato rivelatorio della storia: bisognava creare una democrazia in un paese in cui un tiranno, Gomez, aveva governato 35 anni e un altro, Perez Jimenez, era stato abbattuto da una insurrezione popolare dopo 10 anni. Un paese in cui la democrazia era in fasce.
La proposta costituzionale appare ancora più originale perché la rielezione è prevista solamente per il Presidente della Repubblica, non per governatori o sindaci. Un provvedimento ad hoc che serve a perpetuare Chàvez al potere.
La maggioranza di governo, dopo il caos mediatico dovuto a Rctv, si aspetta una crisi mediatica della stessa o di maggiore intensità. A riequilibrare le cose ci pensano i mass media comunitari che tentano di far passare la rielezione come una richiesta diretta dei poveri. Sfogliamo il settimanale comunitario “Por Ahora”. In un’inchiesta che si presume obiettiva tutti gli intervistati sono a favore della nuova scelta costituzionale, nessuna voce dissenziente. Eligio Palacios, consigliere comunale, dice: “Ci serve per garantire la continuità rivoluzionaria, per promuovere il socialismo”. Maria Alvarracin, commerciante, è ancora più sentimentale: “Sono d’accordo, perché il presidente comandante Hugo Chàvez è con i poveri e vogliamo che il popolo stesso lo scelga”. La deputada Camila Ramires: “Sì, è necessaria la sua continuità al potere per creare la Missione Cristo, come dice la Bibbia: aiutarci l’un l’altro”. Per Tirzo Zandoval, dirigente politico, “la rielzione è vera democrazia”, mentre per Ivan Macgregor, altro dirigente politico, “è il popolo che sceglie”, Juan Lemus, leader comunitario, sintetizza per tutti: “Se il presidente fa le cose bene bisogna dargli opportunità”.
Il popolo, la gente umile è con lui, è vero. Sono con lui molto di più ora per la rielezione continua di quanto lo fossero per Rctv, a cui erano in qualche modo legati. Non è difficile comprendere la motivazione: la ratio, il senso storico di un meccanismo costituzionale che impedisce al presidente di essere rieletto non è di immediata intuizione, è frutto del processo storico latinoamericano e internazionale. Lo può capire la classe dirigente, il professionista della politica, meno palese è per il popolo a cui i problemi materiali interessano prima e sopra tutto.
In Bolivia (dove anche Morales vorrebbe imitare Chávez) come in Ecuador, Cile, Uruguay, Panamá, Nicaragua e Costa Rica, il presidente può essere rieletto solo dopo un mandato di pausa. In Venezuela (per adesso) come in Brasile, Colombia, Stati Unti, Repubblica Domenicana e Argentina possono governare per due mandati di seguito. In Messico, Paraguay, Honduras e Guatemala non si permette alcuna rielezione.
domenica 22 luglio 2007
I giovani venezuelani che a Caracas cercano l'America
A Caracas il lavoro non manca. La microeconomia della metropoli (servizi) produce migliaia di opportunità per persone poco scolarizzate o per studenti che aspirano al part-time, in modo da conciliare anche l’università o gli istituti privati: dal grafico alla moda.
L’ ottimismo c’è ma in gran parte è ingiustificato: la metropoli è ostica e ingiusta. Lo stipendio a cui questi ragazzi possono aspirare difficilmente supera i150 euro (al cambio parallelo), una somma che azzera i sogni nell’immediato, li rimanda a domani: metà dello sueldo se ne va per la sistemazione notturna, in una zona spesso misera ma non tanto da essere barrio. Quest’ultimo è riservato agli ultimi, non a giovani rampanti. Il barrio è quartiere di contadini che nella metropoli non cercano il sogno americano, ma pochi spiccioli da spedire a casa: moglie e figli vanno sfamati, la loro dignità sa di millenario, sono i volti che vedi ovunque nella miniera, nei campi, nelle fabbriche. Gli ultimi. Lo stipendio però permette pochissimo soprattutto a chi ambisce ad uno stile di vita plasmato sull’eco di un sogno americano che il chavismo non può sotterrare. Sotterrato scorrerebbe sotteraneo, come la religione nei regimi comunisti.
Il denaro circola, si vede, si annusa, si tocca. Sgorga fuori come petrolio, segue traiettorie indecifrabili, si accomula per corruzione o saggezza mercantilistica e poi alimenta, sazia la città: ristoranti sempre pieni, sperpero, gioia di vivere. Il sogno americano è lì, nei centri commerciali, nelle jeep che sfrecciano aggressive, negli eroi del baseball, nel cinema, nella vittoria.
Questo futuro per tanti è lontano, ma la speranza è semplice da coltivare, basta a sé stessa. Ai successi della rivoluzione, ai consigli comunali, al sagrificio per la patria i giovani della diaspora oppongono la bella vita, i profumi, il successo personale. Se c’è un diritto che reclamano è la felicità, la città tranquilla, la carriera: deridono i modi del presidente perché non vogliono essere come lui, beffano la musica folcloristica, deridono il buon senso spicciolo e sentimentale. Sono Occidente e l'occidente è anche crisi di valori. Il loro però è un ottimismo immaturo, perché la maggior parte rimarrà legata a stipendi miseri, vivrà nella paura. All’immediato perpetuo, alla cultura dell’emergenza rispondono con l'oppio del consumo. Basta questo a tirare avanti.
Nessun risparmio per esempio sui profumi francesi o italiani. Importati costano una fortuna, quasi tre settimane di stipendio, ma diventano un sagrificio necessario perché a Caracas l’oligarchia ricca e gli stranieri amano le belle donne. Le vie della felicità e del progresso seguono percorsi sessuali e sentimentali . Nascono nuove figure professionali: la venditrice di profumi a credito. Solitamente sono compratrici isteriche, fanno incetta in aeroporto, rivendono in sei quote mensili. Un vero successo. Così come la notte dello sperpero: impossibile lesinare sulle bevande, il servicio (una bottiglia di rum o vodka da dividere) può costere metà stipendio mensile, ma è un inno al destino e alla sua legge primordiale: fai oggi quello che non potresti fare domani. E il domani è quasi sempre di portafogli che si aprono leggeri. Nessun problema. Ci pensa un embrionale microcredito mutualistico. E’ facile rimanere all’asciutto con stipendi miseri, ma è ancora più facile avere un piccolo prestito dall’amico. A sua volta ne avrà bisogno un giorno una catena che funziona e alimenta: si vive di stenti e speranze. L'America è domani, sempre domani.
sabato 21 luglio 2007
43 sequestrati italiani in Venezuea, in tre anni
Il sequestro dello studente Matthew Shortt de Panfilis ha confermato ancora una volta come l’insicurezza personale sia uno degli appuntamenti mancati della rivoluzione bolivariana, anche se ultimamente c’è stato un leggero miglioramento dovuto alle politiche ridistributive del governo. Difficile osservare lo stesso miglioramento alla frontiera dove agiscono indisturbati gruppi interni o in combutta con le Farc: quest’ultime garantiscono maggiore professionalità, ma sono anche più difficili da sconfiggere. Contano su una solida organizzazione. Intanto, dopo le resistenze della classe alta, dovrebbe andare in porto un nuovo provvedimento legislativo che prevede il congelamento dei beni dei familiari della vittima: un provvedimento duro ma necessario. E’ stato suggerito dal governo italiano, memore della lotta vinta contro i sequestri nostrani.
venerdì 20 luglio 2007
VENEZUELA E DROGA
I finanzieri dall'avvio dell'inchiesta, hanno posto sotto sequestro oltre 120 chilogrammi di hashish che proveniva dalla Spagna e solitamente veniva occultata a bordo di autovetture. In quelle occasioni furono arrestate due persone più altri due complici addetti alla sorveglianza del carico. A seguito di questa operazione le Fiamme gialle sono riuscite ad individuare gli organizzatori e i finanziatori del traffico di droga. I militari hanno scoperto che l'organizzazione aveva un filo diretto con il Venezuela. I produttori avevano diretti contatti con dei referenti romani che potevano acquistare la droga a prezzi concorrenziali evitando ulteriori passaggi intermedi e riuscendo a conseguire ottimi profitti.
mercoledì 18 luglio 2007
Il presidente del Venezuela Hugo Chavez ha annunciato che presto verrà installato un sistema di difesa antiaerea nel suo paese, con la collaborazione di tecnologie russe, cinesi e perfino bielorusse."Che nessuno si stupisca - ha dichiarato il presidente - presto avremo il nostro sistema integrale di difesa antiaerea. Ci vorranno degli anni, ma avremo le apparecchiature per individuare aerei a grande distanza ed essere in grado di rispondere". "Presto - ha proseguito il presidente - arriveranno nel paese aerei da trasporto russi e cinesi, con materiale militare che ci permetterà di non dipendere dagli Stati Uniti. Chavez ha poi aggiunto: "Comincerà la preoccupazione degli Stati Uniti, che diranno che ci stiamo armando. Ma l'impero nordamericano vuole disarmare il Venezuela per la sua ricchezza petrolifera in una fase caratterizzata da una crescente necessità di combustibile"."I piani di difesa - ha poi affermato Chavez - fanno parte della guerra globale nella quale siamo immersi"."Ci sarà una crisi petrolifera - ha concluso - e quando ciò accadrà noi avremo ancora riserve di petrolio, oltre a una grande quantità di gas. Gli Usa vogliono porre fine al mio governo rivoluzionario e disporre del petrolio, come quando il nostro paese era una colonia".Il Venezuela può contare, secondo le stime delle autorità, su riserve pari a 300.000 milioni di barili di petrolio che sono in corso di certificazione e che sono considerate le più grandi del pianeta.
Il signor Annese è titolare di una tavola calda nella facoltà di ingegneria della UCV. Come ogni mattina da 28 anni a questa parte, anche giovedì scorso, 12 luglio, alle 4.50 arriva nel parcheggio dell’università, pronto a iniziare un’altra giornata di lavoro. Ma c’è qualcuno ad attenderlo: “Mi hanno aggredito, mi hanno tramortito colpendomi col calcio di una pistola e mi hanno caricato su un’auto”. Chi, quanti erano? “Non lo so, mi hanno colto di sorpresa”. Luigi Annese Cogliano viene bendato, e portato in un punto distante “non più di mezz’ora” dalla UCV: “La mia prigione era una baracca col tetto in lamiera. L’ho capito dal rumore che faceva la pioggia, perché mi hanno tenuto bendato tutto il tempo che sono rimasto prigioniero. Mi davano da mangiare? Sì, mi hanno portato un’arepa ma non l’ho voluta. Mi davano anche l’acqua, ma sapeva di terra, non l’ho bevuta”. La prigionia, per fortuna, dura poco: circa 15 ore, cioé – spiega Annese – fino a quando i suoi carcerieri non ricevono una telefonata che li informa che il loro complice, recatosi all’appuntamento per ricevere il riscatto (“Avevano chiesto 600 milioni di bolivares, poi ci si è accordati per 27 milioni”), è stato catturato dalla polizia. La prima reazione dei banditi è quella di colpire l’ostaggio; Annese riferisce di avere contusioni sparse, una di queste alla mandibola, e di avere tagli sulle gambe. Ha avuto paura che accadesse qualcosa di peggio?, gli chiediamo. “Altroché. Mi misero anche una pistola in bocca”. Poi però i rapitori decidono di caricare l’ostaggio su un’auto, e lasciarlo libero sull’autostrada Francisco Fajardo. Con le mani legate, ma perlomeno libero di vedere, il signor Annese raggiunge un posto di guardia della polizia; così termina la sua brutta avventura.
Luigi Annese Cogliano è sposato e ha due figli, una ragazza di 23 anni e un ragazzo di 18. Sono tutti cittadini italiani. Come si sente adesso? “Fisicamente sto bene, certo sono ancora un po’ scosso”. Continuerà a lavorare alla UCV? “Sì”. Come mai è finito nel mirino di questa gente? “Non lo so”. Credeva di essere abbastanza ricco da essere a rischio di sequestro? “No”.
Il caso Annese è stato ricostruito nei suoi punti essenziali dalla polizia. La persona arrestata risponde al nome di Joibys López Cortés, 27 anni, residente lungo la carretera vieja Caracas-La Guaira. Fu lui, a quanto riferisto dagli inquirenti, a telefonare ai carcerieri del ristoratore, dicendo loro: “Sono stato preso, meglio che lo liberiate per non peggiorare le cose”. Poche ore dopo Cogliano tornava a casa. La polizia avrebbe identificato gli altri componenti della banda, due fratelli residenti lungo la carretera vieja e un terzo uomo residente a Guarenas. Un fatto che ha impressionato gli investigatori è che i contatti telefonici con la famiglia sono stati tenuti da un uomo recluso nel carcere El Dorado, a Ciudad Bolívar. Anche quest’uomo, garantisce la polizia, è stato identificato e verrà processato per questo nuovo crimine.
Dr. Massimo Gilardi, Addetto Culturale
domenica 15 luglio 2007
Mi può raccontare brevemente la storia dei suoi genitori? Come, perché arrivarono in Venezuela?
Mio nonno è andato via da Praia a Mare, località della Calabria, nel 1930 e come tanta gente in quell’epoca ed in quelle successive, cercava una destinazione migliore per se stesso e per la sua famiglia. In quel periodo in Italia c’era carestia. Una volta arrivato in Venezuela, con molto sacrificio –come altri immigranti- ha dovuto impegnarsi duramente per integrarsi e crescere. Io mi chiamo come lui, Rafael, e riconosco che ha contribuito molto allo sviluppo della nostra città, la quale gli ha sempre manifestato rispetto. Successivamente mio padre fece lo stesso e nonostante la distanza generazionale siamo stati sempre consapevoli delle radici italiane che abbiamo. Quindi, siamo molto orgogliosi di essere venezuelani e delle radici italiane che abbiamo, avendo preso da queste ultime i valori quali il sacrificio per il lavoro, la famiglia e la solidarietà. Mio padre era tornato in Italia per studiare e qui ha conosciuto mia madre. Si sono sposati, io sono nato a Roma il 3 settembre 1968 e 45 giorni dopo la mia nascita siamo rientrati in Venezuela, arrivando nella più bella città del mondo: Puerto Cabello, città che adoro, amo ed alla quale devo tutto. Mi auguro di poter trascorrere il resto della mia vita cercando di farla conoscere in tutto il mondo e di aiutarla a superare i suoi attuali problemi. Sono poi ritornato in Italia il 15 maggio 2007 con questa nuova carica e consapevole di questa grande responsabilità che mi ha dato Presidente Hugo Chávez.
Ambasciatore, lei è figlio di emigranti. Com’era l’Italia dei racconti dei suoi genitori e quella che vede adesso, si sente di fare una riflessione?
Sì devo fare una riflessione poiché l’Italia è cambiata totalmente nella sua realtà. La visione dei miei nonni era basata sulla ricerca di un nuovo orizzonte. Il paese doveva essere ricostruito dopo la guerra. Col pasar del tempo, l’Italia è diventata il settimo paese più industrializzato del mondo. Oggi giorno l’Italia non è più un Paese di emigranti bensì di immigranti, che vengono dall’Africa, dall’Asia ed anche dal Sudamerica. Italia oggi è un Paese sviluppato tecnologicamente, economicamente, socialmente. Un Paese che ha avuto ed ha ancora una presenza nell’ambito internazionale, che deve continuare nel futuro ad avere un ruolo importante affinché questa visione che galoppa dell’unipolarismo nordamericano venga scartata per un sistema più equo, più umano e solidale, soprattuto meno feroce davanti i piccoli e i più deboli. Questo deve essere il contributo che Paesi come l’Italia devono dare al futuro dell’umanità, confrontandosi con coloro che vogliono portare il mondo in un abisso. Noi speriamo che l’Italia sappia svolgere questo ruolo di contribuire assieme a tutti quelli che come noi alzano la voce, che stanno mettendo il nostro sassolino in questa montagna che rappresenta la ricerca di un miglior mondo possibile.
Parte della comunità italiana in Venezuela è preoccupata dal governo Chávez. I sequestri, la paura delle espropriazioni, la tensione politica, lei cosa può dire per rassicurarli?
Riguardo alle espropriazioni, non credo che esista alcuna prova che a qualcuno è stato tolto un bene o una proprietà al di fuori delle leggi venezuelane o delle leggi approvate da tutti i Paesi, che riguarda facoltà di uno Stato di rilevare proprietà quando queste siano considerate un interesse strategico per il Paese.
Per quel che riguarda il mio Paese in generale: il Venezuela va alla grande. Si vede anche nella presenza di molti imprenditori italiani. Già nel passato si diceva che il governo voleva togliere le case, le macchine, ecc. Mai si toglierà niente a nessuno. Dopo 100 anni che in Italia non si usa più il termine latifondo in Venezuela si continua a lottare contra i “terratenientes” (proprietari terrieri). Vorrei manifestare una cosa che mi ha molto colpito dell’Italia ed è il fatto che non è stato lasciato neanche un centimetro di terra senza essere sfruttato per il benessere del popolo italiano. E’ meraviglioso che gli spazi liberi producano qualcosa. Il territorio venezuelano supera di tre volte quello italiano, il nostro governo ha proposto un nuovo concetto della presenza dello Stato e dei privati per quanto riguarda la terra. Oggi, in Venezuela, ci sono migliaia e migliaia di ettari cui proprietari non possono dimostrarne la proprietà. Da noi c’è il detto che “las cercas caminan de noche” (i recinti si spostano nella notte). Grazie al nostro governo, questa è una cosa che appartiene adesso al passato.
Per quanto riguarda la delinquenza, questo fenomeno è complicato ma il governo ha una visione differente che mira a capovolgere le radici di questo flagello. Oggi lo combattiamo 24 ore su 24 con l’educazione, il lavoro, la salute e tutti gli elementi sociali che deve avere un uomo a sua disposizione. Sappiamo che esiste, che è un problema di tipo strutturale, e ce ne stiamo occupando in forma profonda. Stiamo proponendo nuove leggi che consentano di ristrutturare dalla base i nostri corpi di polizia e con leggi che agiscono sulla delinquenza. E’ un tema che colpisce il Venezuela e tutto il mondo. D’altronde è anche neccesario evidenziare la responsabilità dei mezzi di comunicazione che danno notizie sui crimini, poiché quando sono strumentalizzate possono creare disagio. E’ meglio descrivere la realtà obiettivamente e non in forma strumentale.
L’Italia sta facendo ottimi affari con il Venezuela (Astaldi, Impregilo, Ghella, Anas) se fossi un imprenditore italiano come mi convincerebbe ad investire in Venezuela?
Vi convincerei con i dati e risultati del drastico cambiamento che il governo ha dato a livello economico e sociale. Inoltre, oggi stiamo certificando 350 mila milioni di barili come riserve petrolifere. Nel caso degli imprenditori, basta paragonare le seguenti variabili con i nostri Paesi concorrenti: l’ubicazione geografica; il clima; la stabilità politica; le similitudini tra i nostri popoli; la grande comunità italiana presente in Venezuela –che potrebbe essere una sponda ed un interlocutore; le nostre risorse e materie di base, l’apertura di nuovi ospedali, di dighe; l’ampliazione della rete di telecomunicazioni e d’infraestruttura, ad esempio la costruzione della rete ferroviaria bloccata da interessi USA per 100 anni; nuovi porti; l’incremento della capacità di servizi. Tutto questo ha fatto che il nostro PIL crescesse al 10% interannuale, negli ultimi tre anni (paragonabile soltanto alla Cina). Il nostro mercato cresce a livello esponenziale. Abbiamo restaurato la nostra sovranità ed il nostro paese è rinato dalle ceneri come mai prima. Oggi la nostra ricchezza è a disposizione del popolo. Sono convinto che chiunque voglia investire in Venezuela troverà le garanzie ed opportunità per i prossimi 50 anni, come in nessun altro Paese nel mondo.
Per l’Eni sembra non esserci più spazio, i rapporti sono definitivamente rotti?
Al contrario, l’esperienza dell’ENI, presente nel settore energetico mondiale da moltissimi anni, ha evidenziato che era un errore andarsene dal Venezuela ed ha cambiato la sua visione. Ha capito la nuova proposta del nostro governo e credo, come Ambasciatore venezuelano in Italia, che condivida questo nuovo modello energetico, il quale continua a dare profitto alle imprese straniere presenti sul territorio venezuelano. Oggi l’impostazione dell’ENI è positiva e siamo felici della sua presenza. Applaudo la decisione del Dottor Paolo Scaroni che al più presto cercherò di incontrare per parlare di queste nuove relazioni vincere-vincere (ganar-ganar), diverse dal modello USA dove vincono solo loro.
Sta leggendo i giornali in Italia, come trattano il Venezuela, che idea si è fatto?
Credo che ho tanto lavoro da fare poiché le informazioni divulgate sul Venezuela, sul nostro Presidente, sul processo bolivariano, sono sproporzionate e mancano di obiettività. Questo genera disinformazione ed evidenzia la parzialità delle fonti o dei punti di riferimento nel nostro Paese, si tratti della stampa nazionale italiana o di alcuni mezzi di comunicazione privati venezuelani. Non mi scandalizzo peró sono consapevole del lavoro da fare per spiegare all’opinione pubblica italiana la nostra realtà, chi siamo, cosa facciamo e come lo facciamo.
Già dall’anno ‘99 il processo politico venezuelano è aperto all’ispezione e alla verifica di chiunque voglia. Il nostro processo è un libro aperto dalla A alla Z. Questi sono fatti reali e non chiacchiere. Non abbiamo alcun tabú, né basi o carceri militari segrete, né siamo invasori di altri popoli, né portarori di morte in altri Paesi. Non abbiamo paura di confrontarci riguardo le nostre idee poiché sappiamo che stiamo dando un contributo all’umanità, nella sua ricerca di un mondo migliore. Possediamo risultati e parametri tanto da considerarci all’avanguardia nell’America Latina, un vero laboratorio di nuove idee di questa realtà attuale per l’umanità.
Niente Rio per Chàvez, niente finale di Coppa America a Maracaibo per Lula. Non sono mai apparsi tanto lontani i due leader regionali, uno alla guida del paese più ricco, esteso, popoloso e contraddittorio dell’America Latina, l’altro a capo dell’unica vera potenza energetica del Sud America, in un momento in cui molte città si scoprono fragili sull’energia (come Buenos Aires).
Il viaggio di Bush in America Latina ha colpito non tanto per le parole del presidente americano (scontato parlare di povertà) , ma perché è riuscito a coinvolgere Lula nella rivoluzione dell’etanolo (l’energia prodotta con l'agricoltura primaria) proprio mentre l’asso Castro-Chàvez metteva in guardia sugli effetti nefasti: la tortilla messicana ha triplicato i suoi prezzi, il cibo deve andare al popolo non alle fabbriche. Lula aveva altra scelta? E’ sotto pressione: il suo paese non cresce come dovrebbe, il nord-est va sussidiato, le megalopoli sono sempre sull’orlo del collasso, il suo appoggio parlamentare è fragilissimo (da cui lo scandalio dei parlametari comprati), e intanto tutti premono, indicano il Brasile come player del futuro, dietro India, Cina e Russia.
La foto di Lula e Bush abbracciati, sorridenti, in linea sulla rivoluzione energetica non è piaciuta a Chávez, dall’Argentina davanti a 40 mila persone lanciava anatemi contro “el diablo” che si trovava contemporaneamente Uruguay. "Polvere cosmica" lo derideva sottolineando come allo scadere del mandato Bush sarebbe finito nel dimenticatoio mentre lui, Hugo, avrebbe perseverato nella sua lotta: una nuova riforma costituzionale gli permetterà la rielezione indefinita.
La spaccatura tra Chávez e Lula è poi diventata scontro su Rctv. Il senato brasiliano ha chiesto a Chàvez di non ritirare la concessione alla storica televisione di Marcel Granier. Ne è seguito un copione oramai noto: Chàvez offende il senato, incidente diplomatico. L’Hugo di “patria, socialismo o morte” (oramai Caracas è invasa da questo slogan) ha poi alzato il tiro, ha minacciato di uscire dal Mercosur, prima ancora di entrare, lanciando un ultimatum al legislatore brasiliano e paraguayano: ratificatemi entro settembre o me ne vado! Ad entrambi i paesi l’atteggiamento arrogante non è piaciuto. Forse l'ex tenente colonnello ha deciso davvero di lasciare il Mercato del Sud, tentativo di integrazione serio che impone anche limiti alla sovranità nazionale. Meglio impegnarsi nell’Alba (integrazione solidale bolivariana) dove i membri- Nicaragua, Cuba e Bolivia- sono meno discoli del Brasile.
Il 29 giugno Chàvez non si è presentato alla riunione del Mercosur di Asunciòn: ha preferito andare in Russia e in Iran. “Oramai- sostiene Teodoro Petkoff, direttore del quotidiano Talcual- all’integrazione regionale il presidente sta privilegiando l’agenda internazionale ideologica”. Più Iran e meno Brasile. Più socialismo meno integrazione.
sabato 14 luglio 2007
In fila quasi un centinaio di computer con schermo piatto, scuri, eleganti. Siamo nel 23 de enero, uno dei barrios più difficili e rivoluzionari di Caracas. Se c’è qualcosa di buono nella rivoluzione, è qui che lo devi venire a cercare. “Ne sono spuntati decine di centri informatici come questi, non si paga nulla, è per la gente, per tutta la gente” dice la nostra accompagnatrice. La marca dei computer è Vit (Venezolana de Industria Tecnologica), in Venezuela li assemblano le parti arrivano dalla Cina. La fabbrica si trova nella penisola Paraguanà, lontano da Caracas sfornano quasi 150 mila unità l’anno: tutto con software free.
I palazzoni del 23 de enero, nati con la dittatura di Marcos Perez Jimenez degli anni ’50, sono ancora oggi immersi nel degrado. La pittura li ha resi più colorati, ma se giri attorno vedi volare la spazzatura dai balconi: discariche a cielo aperto. Quando piove l’odore diventa insopportabile, un piccolo lago di spazzatura come distrazione per i bambini. Se lanci le pietre possono saltellare più di tre volte. “E’ vero- dice Juan Contrears, il leader rivoluzionario più importante- i problemi ci sono, sono zone umili, i problemi ci saranno sempre, è inutile illudersi”. Allora la modernità e la miseria dovranno andare sempre a braccetto anche con la rivoluzione? Così pare. “ Purtroppo- continua Juan- molte cose deve farle lo Stato, ma ancora non le fa, per questo noi con le nostre radio comunitarie gli stiamo dietro. Per esempio, qui ancora non hanno asfaltato, ogni giorno impugno il microfono e ricordo al sindaco: devi asfaltare, devi asflatare. E poi ci accusano di essere governativi. Ma che governativi! Qui critichiamo, e critichiamo tanto, credimi”.
Ma non sono bastate le critiche per risolvere i problemi del centro informatico rivoluzionario. “Perché non c’è gente al computer ?” chiediamo sospettosi. La ragazza non vuole occultare nulla: “Perché? Te lo dico io perché! Sono tre mesi che abbiamo un problema di corrente elettrica e il Ministero non è venuto ad aggiustarlo, dicono che per la fine del mese qualcosa cambierà.” “Ma è un problema di corrente, perchè chiamare il ministero?” insistiamo. “Loro devono risolverli, loro hanno costruito questo centro”. Nel frattempo i computer nuovissimi sono in attesa, uno stand-by insopportabile per i bambini che si accalcano nel cortile della radio per giocare con due scimmiette. E’ l’ennesimo paradosso: miseria e modernità convivono, ma quest’ultima col tempo viene assorbita dal degrado. “Però- si sbriga a precisare la ragazza- questo è l’unico centro informatico (infocentro) dove le cose vanno così, altrove tutto funziona a perfezione”. Anche Juan conferma: “Non dovete pensare che qui andiamo avanti solo con l’aiuto dello Stato. Qui arrivano fondi anche dall’estero, questa radio l’abbiamo costruita assieme ad alcune associazioni indipendentiste basche: se manca qualcosa lo mettiamo di tasca nosta, è sbagliata l’idea che tutto debba farlo il governo”.
Anzi, meglio che rimanga alla larga se viene per reprimere i movimenti di protesta, lo sostiene con forza sempreJuan: “Durante la cosiddetta democrazia rappresentativa la polizia veniva solo per reprimerci, ho visto morire tanti miei compagni, tantissimi, lottavamo per l’acqua, per diritti minimi, ma eravamo un problema, la polizia era corrotta, faceva accordi con i malviventi, sequestravano la pistola, se la rivolevi dovevi pagare un prezzo”. Ora la polizia com’è? “Continua a non piacerci, ma le cose vanno meglio”.
giovedì 12 luglio 2007
“Si profilano tempi cupi per il consolato”. La preoccupazione del console Pontesilli in realtà annuncia due novità più che benvenute dagli italiani all’estero: la riapertura dei termini per chiedere la cittadinanza, che dovrebbe partire all’inizio del 2008, e l’introduzione dell’assegno di solidarietà, sui cui tempi è più difficile fare previsioni. “Il fatto è che una riapertura per la cittadinanza già ci fu tra il 1990 e il 1992. Arrivarono tante di quelle domande che in Venezuela ci vollero dieci anni per soddisfarle tutte, mentre in Argentina e Brasile le richieste devono ancora essere smaltite. Prevediamo che, qui in Venezuela, arriverebbero 150 mila nuove domande di cittadinanza”. Serve qualche impiegato in più? “Qualche? Servirebbe una task-force di dieci impiegati che si dedica esclusivamente a quello. Però devo dire – aggiunge – che il viceministro Danieli è cosciente del problema, e ha annunciato l’assunzione di 200 persone da distribuire nei consolati di tutto il mondo proprio per far fronte a questi nuovi carichi di lavoro”. Tra i quali anche la gestione dell’assegno di solidarietà. Pontesilli calcola che, in Venezuela, esistano “almeno duemila persone” che vivono in condizioni gravemente disagiate, per le quali un aiuto del genere costituirebbe “la differenza tra la vita e la morte”. E se queste persone possono andare avanti, è perché già il consolato se ne fa carico: “Per assistere i connazionali in difficoltà – rivela Pontesilli – il consolato spende quasi 600 mila euro all’anno. In genere diamo un assegno direttamente a chi ne ha bisogno, in altri casi giriamo l’assegno ad associazioni che si fanno carico dell’assistenza di queste persone, ad esempio Villa Pompei o il Comitas. L’introduzione dell’assegno di solidarietà sarebbe senz’altro un progresso. Finora l’assistenza è lasciata a iniziative disorganiche, che variano dal dare un assegno al pagare un ricovero o altro. L’assegno di solidarietà razionalizzerebbe tutto questo, ma c’è di più. Gli aiuti che forniamo agli indigenti, in quanto concessione di un singolo funzionario, possono essere visti come una forma d’elemosina, il che comporta che ci sono molti connazionali che, pur in condizioni disperate, hanno vergogna a chiedere aiuto. L’assegno di solidarietà tramuterebbe questi interventi di sostegno in un diritto riconosciuto dallo Stato italiano”.
martedì 10 luglio 2007
"Noi emigrati sempre offesi"
Mi sento offesa e le comunità degli italiani all'estero dovrebbero ribellarsi a una rappresentazione che neanche il film 'Pane e cioccolata'". Mariza Bafile, deputata eletta per l'Ulivo nella circoscrizione America Meridionale, commenta così il video di Repubblica.it che mostra presunti brogli a favore dell'Unione nel voto per la circoscrizione Australia alle ultime elezioni politiche.Quel video, aggiunge Bafile, che riferisce di parlare anche a nome di Gino Bucchino (eletto per l'Ulivo in Nord America), "dimostrerebbe che le nostre comunità all'estero sono di una tale ignoranza da non capire neanche cosa stanno scrivendo". "Considero questa accusa - sottolinea Bafile - un'offesa all'intelligenza degli italiani all'estero. E' assurdo dire a una persona che stiamo votando per lui e poi scrivere il nome di un altro e indicare il simbolo di un altro partito. Significa che i nostri connazionali sono incapaci di legge e scrivere cosa che non è assolutamente vera". "Riteniamo - conclude - che questa sia una tattica per attaccare in generale il voto degli italiani all'estero per portare avanti una campagna tesa ad abolire il voto degli italiani all'estero. Perché se veramente avessero avuto prove avrebbero dovuto portarle all'inzio della legislatura alla magistratura".
...a casa
La Pdvsa, multinazionale petrolifera governativa, avanza. Ha ora assunto il controllo del 100% della partecipazione che le imprese Conoco Phillips ed Exxon Mobil avevano in operazioni estrattive nella fascia petrolifera dell'Orinoco. Le due compagnie fanno le valigie e se ne vanno dopo aver rifiutato i termini del progetto di nazionalizzazione delle risorse petrolifere venezuelane predisposto dal presidente Chávez (l'impresa mista con maggioranza dello stato). Inizia ora un’altra battaglia: negoziare, entro il 26 agosto, le modalità di indennizzo finanziario. In un comunicato, il presidente di Pdvsa, Rafael Ramirez, ha confermato: “Stiamo operando al 100% con le partecipazioni che avevano. Manca ora solo giungere ad un accordo economico, obiettivo per cui responsabili di entrambe le imprese stanno trattando con noi".Delle undici imprese che operavano nella prospezione, estrazione e sfruttamento del greggio nella fascia dell'Orinoco, sette (Chevron Texaco, Statoil, Total, BP, Eni e Sinopec e Inelectra) hanno accettato di mantenere una quota di minoranza.
lunedì 9 luglio 2007
Da lì lei non si può muovere perchè le condizioni sono gravi. E’ un’emorragia cerebrale. Mio fratello e sua moglie vanno a dormire in una posada vicino. Senza acqua e con un bagno in comune per tutti gli ospiti. I giorni successivi preferiscono dormire in macchina. Al quarto giorno i medici decidono di inviarla a Carcas in ambulanza per farle una tomografia in ospedale. La portano, le fanno la tomografia e la riportano indietro. Non c’è un letto libero in nessun ospedale di Caracas. Mia madre sta male, le sue condizioni sono gravi e nel Guapo non c’è nessun medico specializzato che possa aiutarla. Dopo 11 giorni io arrivo dall’Italia, vedo mia madre: è in una condizione davvero triste, la struttura sanitaria piena di mosche, con bacinelle per raccogliere le infiltrazioni, le gocce d’acqua. Alla fine contatto un’amica e riesco a trovare un posto a Caracas. Mi assumo tutte le responsabilità del trasferimento, tanto dal quarto giorno non aveva neanche i tubi per la respirazione. Arrivo all’Ospedale “Vargas”, e dopo due ore di viaggio in un’ambulanza caldissima la portiamo nel settore emergenza. Il medico mi chiede un’altra tomografia. Io prima di arrivare in ospedale ho cercato di farla Avevo prenotato in una struttura privata chiamata “Hospital de Clinicas Caracas”, qui non trovano la prenotazione, né c’è personale per farla, inoltre, dopo un viaggio difficile, nonostante le condizioni di salute, bisognava aspettare comunque trenta minuti: il tempo necessario affinché io pagassi un milione di bolivares, il prezzo della tomografia.
Il giorno seguente i Pompieri di Caracas ci promettono un’ambulanza per fare finalmente la. L’ambulanza non arriva, chiamo trenta volte, alla fine mi decido per un’ambulanza privata. Riesco a trasportarla, ma devo pagare 350 mila bolivares all’andata, più il ritorno, più il costo della tomografia. Una volta rientrato in Ospedale i medici mi chiedono di fare un altro esame, l’Angiotac. Devo chiamare un’altra ambulanza, rifare un’altra volta tutta la trafila. Ovviamente è a pagamento. Al ritorno i medici mi dicono che l’esame non si vede bene perchè è di cattiva qualità, devo ripetere l’esame. Questa volta però durante il viaggio mia madre ha un’altra emorragia.
Torniamo al settore d’emergenza del Vargas: è in condizioni pessime, sporco e con personale scortese. un giorno un medico e un familiare iniziano a picchiarsi, senza rispetto per gli altri malati. Dall’Emergenza la spostano in Neurochirurgia, qui lo spazio è davvero poco, per i pazienti ci sono i cubicoli, per i familiari il pavimento La seconda volta le ripetiamo la Angiotac in un’altra clinica e i dottori ripetono la stessa cosa: non è di buona qualità, decidono allora di farle una risonanza magnetica e quando torno neanche questa è di buona qualità. Che inferno.
Il cinque luglio i medici, poi, invece di fare le visite di rito ai pazienti stanno a casa, bisogna così aspettare il giovedì successivo.
L’8 luglio mia madre compie un mese dal giorno dell’emorragia cerebrale, non sappiamo nulla di concreto, un aneurisma? Un tumore che sanguina, o forse un’ematoma? Tante diagnosi differenti. Chi può davvero aiutare mia madre, dobbiamo aspettare che muoia per avere un risultato? Dov’è la sanità nel mio paese. L’ospedale Vargas è orribile, spazzatura all’entrata, cattivo odore, persone nelle corsie con ferite gravi.
Le medicine non ci sono, bisogna uscire e comprarle. Chi può davvero aiutare mia madre? L’unica cosa che vorrei con questa lettera è ottenere un medico specialista che possa occuparsi di lei, che l’aiuti davvero. Siamo gente umile, non ricchi. Il fatto che io stia vivendo in Italia non vuol dire che sono ricca, come pensano in Venezuela. Mio marito ha uno stipendio minimo e un contratto a termine, e il costo della vita in Italia è molto alto. Io lavoro occupandomi dei bambini, visto che qui in Sardegna non riesco a trovare un posto fisso.
Qualcuno può aiutarmi, non voglio denaro, solo medici che possano curare mia madre senza essere al di là del denaro, ma animati dalla voglia di compiere un gesto umano per un altro essere umano.
Grazie
Angelica Vargas
domenica 8 luglio 2007
Come allora Napoli è inquieta, agitata, incapace di prendere le misure ai problemi: i rifiuti, le periferie, la mancanza di lavoro. Città che danza disperata, tarantolata, ha difficoltà a trovare una sua età dell’oro. Ricade continuamente nelle solite paure, in quel perenne stato d’emergenza con cui ha imparato a convivere. “Adda passà a nuttata” sospirava Eduardo De Filippo, e quel grido smorzato, lanciato agli sgoccioli della seconda guerra mondiale, replicava all’infinito il pianto di una città troppo spesso sconfitta, terra di conquista: romani, bizantini, normanni, spagnoli, e poi di rivolte, tumulti popolari caduti nel nulla: la città, anche liberata, non riesce a ritrovare se stessa, la sua identità è nascosta in un passato indecifrabile. Su di lei si va a poggiare lo sguardo tranquillo, alto e soprattutto ottimista di Bolivar, che morì povero, sconfitto, ma consapevole: fino all’ultimo uomo avrebbe cantato le sue gesta. Nel parco il busto è rivelato da una targa: sopra il nome del Libertador. Non sarà necessaria leggerla per i tanti emigranti italo-venezolani che vivono soprattutto in provincia di Salerno: per loro Bolivar è parte della memoria, lo conoscevano fin dall’arrivo delle navi in Venezuela: la piazza Bolivar, la moneta, le statue. Come Garibaldi è stato simbolo di una lotta che ha percorso i fremiti di libertà di due continenti, Garibaldi esiliato in America Latina, Bolivar che giura sul Montesacro di Roma: entrambi non avranno mai pace, moriranno sconfitti. All’inaugurazione è presente il sindaco Rosa Russo Iervolino, assieme all’ambasciatore La Cava svelano il busto. L’ambasciatore sospira: “Spero che Bolivar contribuisca a mantenere vivi i concetti di giustizia, sovranità, libertà, democrazia e integrazione”. A dare la misura della grandezza del condottiero ci pensa il professore Antonio Scocozza in una conferenza a lui dedicata: “Bolivar fondava repubbliche, mentre in Europa la Santa Alleanza ristabiliva monarchie dappertutto. Bolivar è al cento per cento un repubblicano. Fu un grande uomo senza un grande popolo”.
Caracas ha seguito la sua coppa con distacco, pochi i colori della vinotinto, amara consapevolezza che il calcio rimane uno sport poco tropicale. Non basta il campioncino Arango(nella foto) per risolvere i problemi del Venezuela.
La mancanza di astri brasiliani ha privato l’evento di quella spettacolarità necessaria per suggestionare il popolo. Troppo pochi i campioni, si ci può emozionare per uno stantio Recoba? Caracas è stata emarginata dai giochi, complice la mancanza di strutture, dovrà accontentarsi di una tristissima finale per il terzo e quarto posto.
Caracas ha seguito la sua coppa con distacco, pochi i colori della vinotinto, amara consapevolezza che il calcio rimane uno sport poco tropicale. Non basta il campioncino Arango(nella foto) per risolvere i problemi del Venezuela.
La mancanza di astri brasiliani ha privato l’evento di quella spettacolarità necessaria per suggestionare il popolo. Troppo pochi i campioni, si ci può emozionare per uno stantio Recoba? Caracas è stata emarginata dai giochi, complice la mancanza di strutture, dovrà accontentarsi di una tristissima finale per il terzo e quarto posto.
sabato 7 luglio 2007
Dall’Iran il presidente risponde piccato: “Ma cosa succede? Che dichiarazioni strane! E’ una menzogna che l’esercito sia polticizzato. Il generale Muller dice le stesse cose dell’avversario, io sono il primo a non volere che la Forza Armata sia di parte di un partito”. Chi ha ragione dei due? Chàvez è ferito dalle dichiarazioni di un sincero socialista, quella di Muller Rojas non è però un’uscita contro il presidente (nell’intervista il generale parla della politicizzazione in termini positivi, lui ne è un esempio lampante: militare in carica e membro di un partito). Le sue, lo si capisce scorrendo l’intervista, sono parole contro Ameliach e l’ex-ministro delle difesa Orlando Maniglia (di origini napoletane) che vogliono far passare l’idea nordamericana di un esercito di professionisti e non del popolo (quindi poco socialista per un compagno come Muller), probabilmente per aumentare la obbedienza della divisa nei confronti del potere politico e scongiurare colpi di stato. Chàvez su questo punto è incerto: sa che le Forze Armate sono difficili da controllare: per quanto si illuda di convincerle con gli slogan socialisti, sono poco socialiste. Fino ad ora la convivenza è stata pragmatica, il governo ha chiuso un occhio rispetto agli atti di corruzione dei militari, innegabili, ma sospetta sempre manovre oscure all’interno? Non dimentichiamoci che Chàvez nasce come cospiratore militare, quello del “cuartel” è un mondo che conosce bene, è abituato a diffidare.
Da un lato vuole un esercito popolare, autenticamente socialista e capace di difendere la rivoluzione alla cubana, dall’altro sa che questo potrebbe essere un rischio per la propria leadership (creerebbe un corpo troppo forte, di peso politico e armato), mentre la professionalizzazione gli farebbe dormire sonni tranquilli: smusserebbe gli aneliti di comando sostituendo ad appassionati semplici burocrati.
Intanto il ministro Baduel è stato sostituito, ha dimostrato poco polso dinanzi alle difficoltà di questi giorni. Al suo posto arriva Gustavo Rangel Briceño. E’ il nono ministro della difesa, un sintomo preciso della diffidenza di Hugo Boss. Gli altri sono stati Raúl Salazar (febbraio 1999-febbraio 2000), Ismael Hurtado (febbraio 2000-febbraio 2001), José Vicente Rangel (febbraio 2001-aprile 2002), Lucas Rincón (aprile 2002-luglio 2002), José Luis Prieto (luglio 2002-gennaro 2004), Jorge Luis García Carneiro (gennaro 2004-luglio 2005), Orlando Maniglia (luglio 2005-luglio 2006) y Raúl Isaías Baduel (luglio 2006-lugio 2007).
venerdì 6 luglio 2007
Piccoli furti a Caracas
Ritorno a Caracas, e lei, città cresciuta senza senso, si presenta subito così com’è, senza mediazioni. Entro in un supermercato (Central Maiderense), un uomo strilla: “Non c’è pollo, non c’è carne, la inviano negli altri paesi”. Una signora piange, le hanno sottratto dalla borsa soldi e documenti. Assieme a lei ci sono altre vittime, un gruppo di ladruncoli ha compiuto la sua piccola strage quotidiana. La guardia è perplessa, cerca di dare la colpa alle signore (“Dovete stare attente”) poi ammette: “Una volta, quando ho tentato di fermarli, mi hanno spaccato una bottiglia in testa”. Invece riesce a fermare un uomo alla cassa, nella sua giacca contenitori di plastica, con calma viene portato nella stanza dei controlli. Un attimo prima quell’uomo strillava: "Non c’è pollo, non c’è carne”. Welcome.
IL BUSTO DI BOLIVAR E LA CONTESTAZIONE DI AN
Manca l’atteso viceministro Rodrigo Chaves Samudio, confermando una prassi tutta italiana: dove c’è l'ambasciatore La Cava (il Sarkozy dei Parioli) non c’è Samudio, tra i due (il primo uomo di Maduro, il secondo filiazione diretta del presidente) non corre buon sangue. (Ringraziamo Giovanni Piccolo per le foto)
mercoledì 4 luglio 2007
DI LUCA SPADACCINI SUL VENEZUELA
Le basi per il futuro dello "sport più bello del mondo" (E.GALEANO) ci sono e la gioventù non manca, sarebbe bello incentivare maggiormente questo sport, risistemare tutti i campetti di periferia disseminati in tutto il paese e organizzare delle scuole calcio per i più piccoli che, attenti ed influenzati dal clima di entusiamo prodotto dalla COPA AMERICA, parteciperebbero con passione e con i loro sogni.... Chicos, in un paese dove il BEISBALL la fa da padrone i ragazzi e tutto lo staff-tecnico hanno fatto un'impresa...e l'hanno fatto solo con la loro forza.... supportati dai loro colorati e stupendi tifosi ...GRAZIE VENEZUELA.
VENEZUELA, UNA QUALIFICAZIONE STORICA
Il Venezuela è passato grazie ad un brutto pareggio per 0-0 con l'Uruguay, che ha consentito però a entrambe di raggiungere le già qualificate Argentina, Messico e Paraguay. Con loro, nel gruppo A, passa il Perù grazie a un gol di Claudio Pizarro a 5' dalla fine che ha eliminato la Bolivia.Il sorprendente Venezuela ha terminato imbattuto il girone A, finendo addirittura in testa. Sabato, ai quarti, potrà toccargli una delle migliori terze: probabilmente Cile o Uruguay.La partita contro i biancocelesti è stata la prima senza reti e la più brutta disputata fin qui. Nessuna delle due squadre si è sforzata più di tanto per vincere e l'Uruguay è passato ai quarti pur avendo segnato un solo gol.Emozioni fino all'ultimo, invece, nell'altra sfida del girone, quella che ha consentito al Perù di strappare il passaggio ai quarti in extremis. La Bolivia, fino al 40' del secondo tempo, stava vincendo 2-1 dopo essere stata raggiunta sull'1-1 e sarebbe stata promossa al turno successivo. Claudio Pizarro però, era in serata di grazia e - dopo aver pareggiato una prima volta - è riuscito a deviare in porta di testa una punizione di Juan Carlos Marino e a regalare la qualificazione ai suoi. Impresa non trascurabile, visto che da 7' i peruviani giocavano in dieci per l'espulsione (doppia ammonizione) di Herrera. Partita dura (un cartellino rosso e nove gialli) e Bolivia a casa: "Nessuno ci ha dominato - ha lamentato alla fine il ct Erwin Sanchez - nessuno ci ha dato lezioni. Sono fiero dei miei ragazzi e del lavoro che ognuno di noi ha fatto". Julio Cesar Uribe, tecnico peruviano, ha ammesso che la sua squadra "deve migliorare" e che "non tutti hanno fatto in campo abbastanza per consentire a questa squadra di giocare come sa".
VENEZUELA, UNA QUALIFICAZIONE STORICA
Il Venezuela è passato grazie ad un brutto pareggio per 0-0 con l'Uruguay, che ha consentito però a entrambe di raggiungere le già qualificate Argentina, Messico e Paraguay. Con loro, nel gruppo A, passa il Perù grazie a un gol di Claudio Pizarro a 5' dalla fine che ha eliminato la Bolivia.
Il sorprendente Venezuela ha terminato imbattuto il girone A, finendo addirittura in testa. Sabato, ai quarti, potrà toccargli una delle migliori terze: probabilmente Cile o Uruguay.
La partita contro i biancocelesti è stata la prima senza reti e la più brutta disputata fin qui. Nessuna delle due squadre si è sforzata più di tanto per vincere e l'Uruguay è passato ai quarti pur avendo segnato un solo gol.
Emozioni fino all'ultimo, invece, nell'altra sfida del girone, quella che ha consentito al Perù di strappare il passaggio ai quarti in extremis. La Bolivia, fino al 40' del secondo tempo, stava vincendo 2-1 dopo essere stata raggiunta sull'1-1 e sarebbe stata promossa al turno successivo. Claudio Pizarro però, era in serata di grazia e - dopo aver pareggiato una prima volta - è riuscito a deviare in porta di testa una punizione di Juan Carlos Marino e a regalare la qualificazione ai suoi. Impresa non trascurabile, visto che da 7' i peruviani giocavano in dieci per l'espulsione (doppia ammonizione) di Herrera. Partita dura (un cartellino rosso e nove gialli) e Bolivia a casa: "Nessuno ci ha dominato - ha lamentato alla fine il ct Erwin Sanchez - nessuno ci ha dato lezioni. Sono fiero dei miei ragazzi e del lavoro che ognuno di noi ha
fatto". Julio Cesar Uribe, tecnico peruviano, ha ammesso che la sua squadra "deve migliorare" e che "non tutti hanno fatto in campo abbastanza per consentire a questa squadra di giocare come sa".
Venezuela, storica qualificazione
Il Venezuela è passato grazie ad un brutto pareggio per 0-0 con l'Uruguay, che ha consentito però a entrambe di raggiungere le già qualificate Argentina, Messico e Paraguay. Con loro, nel gruppo A, passa il Perù grazie a un gol di Claudio Pizarro a 5' dalla fine che ha eliminato la Bolivia.
Il sorprendente Venezuela ha terminato imbattuto il girone A, finendo addirittura in testa. Sabato, ai quarti, potrà toccargli una delle migliori terze: probabilmente Cile o Uruguay.
La partita contro i biancocelesti è stata la prima senza reti e la più brutta disputata fin qui. Nessuna delle due squadre si è sforzata più di tanto per vincere e l'Uruguay è passato ai quarti pur avendo segnato un solo gol.
Emozioni fino all'ultimo, invece, nell'altra sfida del girone, quella che ha consentito al Perù di strappare il passaggio ai quarti in extremis. La Bolivia, fino al 40' del secondo tempo, stava vincendo 2-1 dopo essere stata raggiunta sull'1-1 e sarebbe stata promossa al turno successivo. Claudio Pizarro però, era in serata di grazia e - dopo aver pareggiato una prima volta - è riuscito a deviare in porta di testa una punizione di Juan Carlos Marino e a regalare la qualificazione ai suoi. Impresa non trascurabile, visto che da 7' i peruviani giocavano in dieci per l'espulsione (doppia ammonizione) di Herrera. Partita dura (un cartellino rosso e nove gialli) e Bolivia a casa: "Nessuno ci ha dominato - ha lamentato alla fine il ct Erwin Sanchez - nessuno ci ha dato lezioni. Sono fiero dei miei ragazzi e del lavoro che ognuno di noi ha
fatto". Julio Cesar Uribe, tecnico peruviano, ha ammesso che la sua squadra "deve migliorare" e che "non tutti hanno fatto in campo abbastanza per consentire a questa squadra di giocare come sa".
VENEZUELA, UNA QUALIFICAZIONE STORICA
Il Venezuela è passato grazie ad un brutto pareggio per 0-0 con l'Uruguay, che ha consentito però a entrambe di raggiungere le già qualificate Argentina, Messico e Paraguay. Con loro, nel gruppo A, passa il Perù grazie a un gol di Claudio Pizarro a 5' dalla fine che ha eliminato la Bolivia.Il sorprendente Venezuela ha terminato imbattuto il girone A, finendo addirittura in testa. Sabato, ai quarti, potrà toccargli una delle migliori terze: probabilmente Cile o Uruguay.La partita contro i biancocelesti è stata la prima senza reti e la più brutta disputata fin qui. Nessuna delle due squadre si è sforzata più di tanto per vincere e l'Uruguay è passato ai quarti pur avendo segnato un solo gol.Emozioni fino all'ultimo, invece, nell'altra sfida del girone, quella che ha consentito al Perù di strappare il passaggio ai quarti in extremis. La Bolivia, fino al 40' del secondo tempo, stava vincendo 2-1 dopo essere stata raggiunta sull'1-1 e sarebbe stata promossa al turno successivo. Claudio Pizarro però, era in serata di grazia e - dopo aver pareggiato una prima volta - è riuscito a deviare in porta di testa una punizione di Juan Carlos Marino e a regalare la qualificazione ai suoi. Impresa non trascurabile, visto che da 7' i peruviani giocavano in dieci per l'espulsione (doppia ammonizione) di Herrera. Partita dura (un cartellino rosso e nove gialli) e Bolivia a casa: "Nessuno ci ha dominato - ha lamentato alla fine il ct Erwin Sanchez - nessuno ci ha dato lezioni. Sono fiero dei miei ragazzi e del lavoro che ognuno di noi ha fatto". Julio Cesar Uribe, tecnico peruviano, ha ammesso che la sua squadra "deve migliorare" e che "non tutti hanno fatto in campo abbastanza per consentire a questa squadra di giocare come sa".