sabato 8 settembre 2007

Giuseppe Cacciatore parla del affaire Venezuela

Pubblichiamo un commento che ci ha inviato il professore Giuseppe Cacciatore, filosofo salernitano, apparso già su Liberazione. Pochi giorni fa Cacciatore era stato attaccato a sinistra per alcune sue dichiarazioni troppo poco "chaviste". Meglio così, ingenuo sarebbe stato abbandonarsi a facili entusiasmi.

Ciò che più stupisce nella fioritura estiva di articoli su Chávez nella cosiddetta stampa italiana d'informazione è proprio la disinvolta mancanza di informazione e di obiettività nei commenti e nelle analisi. Grossolane falsificazioni si alternano a visioni apocalittiche della realtà politico-istituzionale del Venezuela, per non parlare dei "servizi" sulle stravaganze del Presidente. Un classico esempio è fornito, purtroppo, dal "Corriere della Sera", il quale dedica articoli durissimi al pericolo della nuova dittatura rossa. Ci si aspetterebbe però che la perentorietà dei giudizi venga suffragata da dati di fatto e da fonti accertabili. Nulla di tutto questo! Si pubblica invece una pagina intera che racconta – sullo stile dei due maggiori quotidiani del Venezuela, "El Universal" e "El Nacional", che continuano indisturbati a gettare valanghe di contumelie sul "loco" che governa il paese – di alcune "stranezze" del Presidente: la proposta di allungare di trenta minuti l'ora solare, di cambiare la posizione del cavallo sulla bandiera nazionale, di imporre il saluto rivoluzionario ai militari. Al lettore italiano si fa credere:

a) che della Costituzione venezuelana (da lui stesso proposta e fortemente voluta) Chávez sta facendo strame introducendo modifiche totalitarie;

b) che per effetto di queste modifiche si è abolita la proprietà privata;

c) che ormai non esiste più la libertà di dissenso e di stampa;

d) che le risorse petrolifere del paese servono solo ad alimentare una politica populista.

Su quest'ultimo punto, tra l'altro, nessuno si è presa la briga di dire che una consistente parte dei proventi petroliferi, invece di prendere il volo verso le banche estere dei corrotti politici dell'era pre-Chávez (compreso Pérez all'epoca vice presidente dell'Internazionale socialista), sono stati investiti nei programmi di politica sociale, nella sanità, nell'educazione, nella costruzione di centinaia di centri polifunzionali di quartiere (parlo dei ranchitos e non dei quartieri ricchi) dove sono stati costruiti ambulatori e cliniche, campi sportivi, mercati popolari a prezzi controllati, cooperative di lavoro, asili.

Insomma tutto ciò che il benefico spirito liberale capitalistico che ha governato quel paese fino alla fine degli anni 90 non ha mai concesso. Ma la cosa veramente grave è che queste falsità vengono ripetute da un sottosegretario agli esteri, Vernetti, che parla anche lui di ormai instaurata dittatura e di lesione di diritti democratici fondamentali. Ci sarebbe da chiedersi di quali fonti disponga il rappresentante del governo che esprime giudizi così insultanti e avventati, al limite della rottura diplomatica.

Dunque, è bene che si chiariscano e si precisino, nei limiti di un articolo di giornale, alcuni dati di fatto. Il nostro paese (anche a prezzo di vite umane) sostiene governi di precaria stabilità democratica con l'argomento che libere elezioni li hanno legittimati, vedi Iraq e Afghanistan. Lo stesso non vale per un governo e un presidente che dal 1999 ha vinto oltre 10 tornate elettorali tutte avallate dalla presenza di osservatori internazionali e tutte dichiarate pienamente legittime dall'UE e dalla Organizzazione dei paesi americani. L'argomento forte usato adesso è che Chávez vuole stravolgere la Costituzione. Vediamo, allora, nel dettaglio i passaggi fondamentali delle modifiche proposte (che riguardano 33 articoli su 350): abolizione del limite di una sola rielezione per il presidente; procedure e forme di decentramento dei poteri dello Stato attraverso strutture di democrazia partecipativa che hanno al centro le municipalità alle quali – ma di questo nessuno parla in Italia – la riforma costituzionale prevede di affidare il controllo e la gestione delle risorse pubbliche, dell'acqua, del gas, dell'energia, delle risorse ambientali e turistiche del territorio. Nelle proposte di riforma invano si cercherà quello che i giornali "indipendenti" italiani hanno disinvoltamente scritto: cioè abolizione della proprietà privata. Essa, anzi, viene garantita e sancita da quelle norme della Costituzione del 2000 che restano immodificate, ad esse si aggiungono articoli che prevedono forme di proprietà cooperativa e comunale (secondo, anche, la vecchia tradizione delle comunità indie e contadine defraudate e sopraffatte nei secoli dalla civiltà liberale occidentale). E che cosa c'è di comunista, rivoluzionario e dittatoriale nella norma, che ora si propone di introdurre nel testo costituzionale, dell'orario di lavoro a 36 ore? Cioè di qualcosa che il mondo occidentale ha da tempo previsto e normato?

Ma veniamo al punto cruciale: il socialismo del XXI secolo di cui tanto parla Chávez è veramente configurabile come antidemocratico e totalitario? E si può definir tale, quando è prevista una procedura di revisione costituzionale che impone ben tre voti del parlamento e un referendum confermativo finale? E in quale altra Costituzione del mondo è prevista la possibilità che a metà mandato si possa chiedere un referendum di revoca del Presidente e di tutte le cariche elettive? (cosa peraltro già avvenuta con elezioni vinte da Chávez ed anch'esse considerate legittime e corrette da tutti gli osservatori internazionalie persino dal candidato sconfitto). Se questa norma fosse stata in vigore negli Usa, ora Bush se starebbe tranquillamente a casa. Che si possano avanzare perplessità sull'abolizione del limite dei mandati è più che legittimo ed io sono tra coloro che le manifestano. Ma se tutto verrà confermato da un voto popolare, bisognerà, come per altri casi analoghi si è fatto, rispettare la volontà democraticamente espressa. O si farà un'eccezione per quello che già viene definito capofila degli "Stati Canaglia"?

Se, in conclusione, le analisi di pubblicisti e politici italiani fossero maggiormente improntate alla serietà e all'obiettività si potrebbe, io credo, discutere e approfondire – anche senza tacere di dubbi e di possibili critiche - un originale caso, che non ha precedenti nel continente latinoamericano, di socialdemocrazia radicale. Il problema, cioè, non è la rivoluzione marxista che non è all’ordine del giorno, né l’espropriazione della proprietà privata, ma più semplicemente l’originale tentativo, per quanto ancora incerto e non sempre ancora chiaro in alcuni suoi aspetti, di ridare una reale funzione e un reale potere ad una forma di democrazia dei diritti sociali e politici del popolo venezuelano.

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