sabato 8 settembre 2007

Militarizzare le masse?L'equivoco socialista

9 dicembre. Sarà probabilmente questa la data del referendum/plebiscito con cui le masse mobilitate approveranno la nuova riforma costituzionale, e vireranno decisamente verso il socialismo “del petrolio”. Un socialismo in cui il problema principale è ridistribuire le ricchezze dell’oro nero, non produrre. L’opposizione, anche questa volta spinta dagli editoriali di Teodoro Petkoff, rigetta la riforma in blocco, concentrandosi soprattutto sull’articolo che permette la rielezione continua del presidente, unico caso in America Latina. Il resto della riforma è secondario, in realtà non preoccupa né il militarismo né il socialismo, ma la perpetuazione del potere.

Il socialismo doveva radicalizzarsi, a prometterlo fu Chávez il 3 dicembre, pochi minuti dopo la vittoria elettorale. Molti settori dell’opposizione non ci credono, più che l’indottrinamento di stato, preoccupa l’inflazione, che è ancora troppo alta, la svalutazione della moneta, le difficoltà ad importare, per il controllo cambiario. Preoccupa anche l’insicurezza, che rende il Venezuela uno dei paesi più pericolosi in America Latina.

In realtà c’è un difetto di fondo nell’analisi sul socialismo, lo si considera come prassi dell’impoverimento, lo si confonde con la critica alla società dei consumi (cioè al consumismo). Se poi la critica alla società dei consumi sia stata fatta propria dalle filiazioni comuniste nei paesi occidentali, è dopo aver perso negli anni ’70 la sfida con il capitalismo, molto più capace, dopo gli anni ’60, di ristrutturare la propria economia sulle esigenze di un mercato diversificato. Lo statalismo economico ha retto finché c’era da sviluppare le imprese strategiche (energie, infrastrutture), o di fornire beni primari a tutti: era capace di sfruttare le economie di scala tanto quanto i paesi capitalisti. Ma dopo aver fornito una maglia e una giacca a tutti che fare? La spinta propulsiva economica capitalista ha portato all’ estrema diversificazione del prodotto (e del servizio). La centralità dal produttore si sposta al consumatore, va sedotto e coccolato sempre di più. Lì il socialismo reale fallisce, perché incapace di inserirsi nel meccanismo prodotto/pubblicità/desiderio. Ma quel meccanismo è necessario affinchè chi avesse una maglietta ne desiderasse un’altra diversa, e chi producesse magliette continuasse a venderle, un’ottica che l’impresa di stato non poteva né sapeva includere. I paesi socialisti si sono bloccati dopo aver fornito un minimo a tutti, quelli capitalisti no.

In realtà il socialismo delle origini non ha mai pensato di sedurre le masse promettendo meno consumi, anzi. Da lì la sua pericolosità per le democrazie liberali non democratiche, se poi le masse si sono spesso impoverite è per il fallimento del socialismo stesso che non aveva saputo reagire ai cambiamenti del mercato. Ecco perché di per sé “il lusso” (come sintomo dell’aumentata capacità del consumatore) non è in contraddizione con il socialismo ma con la religione cattolica, di per sé votata all’austerità.

Nessun commento: