domenica 5 agosto 2007

L'AMBASCIATORE GERARDO CARANTE: CHAVEZ NON E' UN DITTATORE

Credo che la stragrande maggioranza dei venezuelani non desideri un regime totalitario o comunista. Vuole la libertà; vuole poter lavorare, investire e risparmiare; vuole la proprietà della casa; vuole la macchina e poter viaggiare. Insomma, tutti diritti che non gli si possono negare. Per questo, sono convinto che se anche il Presidente Chávez volesse andare oltre, non gli sarebbe permesso. Eppoi, le parole del Generale Baduel, nel suo ultimo discorso, sono state chiare e proprio in questa direzione -
Pacato, accorto come si addice a un diplomatico consumato. l’ambasciatore Gerardo Carante parla con l’esperienza di chi, dopo quattro anni, reputa di conoscere assai bene coloro che, oggi, occupano le stanze del potere. - In ogni caso - aggiunge - sono convinto che qualora il Capo di Stato volesse fare cose che non piacciono, l’elettorato lo castigherebbe col voto. Lo manderebbe via. E il presidente Chávez andrebbe via. Non credo proprio sia di quelle persone disposte a passare a una dittatura sanguinolenta; a mettere centinaia di migliaia di persone in carcere; a non rispettare i diritti umani.- Le è toccato svolgere la missione diplomatica in un momento particolarmente complesso del Paese. Lo stesso Presidente Chávez ha detto che abbiamo lasciato alle spalle un modello economico-sociale per costruirne uno nuovo, che ha battezzato il “Socialismo del Secolo XXI”. Quali difficoltà ha dovuto superare in questi anni?Sottolinea immediatamente che, a suo avviso, “questo regime non cambierà la situazione del Paese”. E, per meglio illustrarne il perché, racconta la sua esperienza in Pakistan, quando era Primo Segretario a Islamabad.- Quando arrivai in Pakistan – narra – c’era il governo liberale del Presidente Bhutto. Si respirava un clima di libertà: i cristiani erano rispettati, la stampa scriveva senza censura e si poteva anche bere vino e whisky. Ad un certo punto, però, i militari ritennero di dover intervenire. Consideravano che il Presidente era troppo amico della Cina e della Russia e molto meno degli Stati Uniti.Il resto è facilmente immaginabile: abolizione di ogni libertà, proibizione dei partiti politici, migliaia di arresti e l’assasinio del Presidente Bhutto. L’Ambasciatore Carante commenta:- Bhutto fu accusato di aver autorizzato l’omicidio di un suo rivale politico, dieci anni prima. Assurdo. Bhutto non aveva bisogno di ricorrere alla violenza, all’assassinio. Il risultato fu l’introduzione delle leggi islamiche, il velo alle donne, la censura. Tutte cose che non esistevano. Nei due anni vissuti a Islamabad ho visto cambi radicali. Si passò bruscamente da un regime molto simile a quello di qualunque paese europeo ad un altro con caratteristiche assai diverse; da una libertà assoluta ad un sistema musulmano.In Venezuela, all’opinione dell’intervistato, cambiamenti radicali non ce ne sono stati.- Credo che il Presidente Chávez sia convinto, nella sua buona fede, che non sia stato fatto sufficiente per i venezueani – afferma -. Ha la certezza che bisogna fare di più. Mi ha comunque assicurato che la doppia nazionalità resterà inalterata, che la patria potestà non verrà modificata e che la proprietà privata verrà rispettata, ad eccezione di quei casi in cui venga considerata proprietà sociale.Prima ancora che potessimo intervenire con la domanda di rito, l’Ambasciatore precisa che per proprietà sociale s’intende il bene di utilità pubblica; una figura legale che, a detta del diplomatico, è presente in tutte le legislazioni. Insiste:- Non è un’invenzione del Presidente Chávez. Non c’è paese al mondo in cui, per motivi sociali, non si possa espropriare. Ad esempio, confiscare terre per costruire un’autostrada. L’importante è che il bene, la proprietà espropriata, venga pagata secondo la legge del mercato.Dittatore o profondamente democratico? Dipende dal prisma attraverso il quale si guarda. Il Presidente Chávez, su questo pare che non ci siano dubbi, è un personaggio della nostra storia contemporanea che, più di altri, riesce a provocare sentimenti opposti e radicali. E’ per questo che chiediamo:- In più occasioni lei si è detto amico personale del Presidente Chávez e, in ogni caso, ha avuto modo di conoscerlo bene. Ci dica quali impressioni si è formato; ce ne faccia una radiografia.Sorride. Per un istante, nell’amplio ufficio, nell’attico dell’edificio della “Bolsa di Caracas”, cuore e simbolo del potere economico, c'è silenzio. Poi l’ambasciatore Carante, tornando addietro nei ricordi, ci dice:- Il primo giorno in Venezuela, andai a Maracay invitato ad una cena che il rimpianto Filippo Sindoni offriva in commemorazione della Camera di Commercio italo-venezolana. C’era anche il governatore dello Stato Aragua, Didalco Bolívar, un politico ch’io ritengo estremamente intelligente. Oggigiorno, come si sa, è in contrasto con il Presidente Chávez, specialmente sul tema del Partito Unico Socialista. Il Governatore, allora, mi disse una cosa ch’io non sapevo e non potevo sapere in quanto appena arrivato. Ammise che era contrario al programma economico del Presidente Chávez, poiché riteneva che il Capo dello Stato commetteva gravi errori nell’applicazione delle riforme soprattutto nell’ambito economico.L’Ambasciatore confessa che rimase sorpreso dall’esternazione del Governatore; così sorpreso che non potè fare a meno di ricordargli che era parte della coalizione di governo.- E lui mi disse – prosegue l’intervistato – che aveva aderito alla maggioranza in quanto convinto che il Presidente Chávez, nonostante gli errori, agiva in buona fede. Ecco, io credo appunto che questo sia vero. Non ritengo assolutamente che sia un dittatore. No. Il Presidente Chávez non è un dittatore. Al contrario, considero che sia convinto che le sue decisioni, che la sua politica siano le più idonee al Paese. Vedremo se sarà vero. Tutti i nodi vengono al pettine. Se le sue politiche dovessero risultare non adatte allo sviluppo della nazione, non sarà rieletto. I venezuelani non voteranno nuovamente per lui. Ricordo che Didalco Bolívar mi disse anche che nelle file dell’Opposizione non c’era nessuno in grado di contrastarlo. E questa è un’altra verità: l’opposizione non ha leaders capaci di opporsi al Presidente Chávez.- Persone capaci, nelle file dell’opposizione, ce ne sono tante anche se è vero che alcune non hanno autorità morale e altre sono legate ad una vecchia maniera di fare politica.Scuote il capo e precisa:- Un leader, in un paese presidenziale, non solo deve essere capace ma anche avere carisma. Ad esempio, Julio Borges, un politico che conosco bene, sarà senz’altro una persona capace; ma non ha il carisma del leader. Lo ha, invece, Leopoldo López, l’attuale sindaco di Chacao. Inoltre, è una persona capace e si presenta bene, specialmente all’elettorato femminile. Forse è troppo giovane; ma non lo sarà tra cinque anni. Certo, bisognerá vedere anche se gli avversari glielo permetteranno; se gli daranno spazio.Sostiene che “per affrontare il Presidente Chávez è indispensabile essere una figura dotata di grande ascendente”.- Se la situazione economica peggiora; se il Presidente Chávez risultasse incapace di trovare soluzioni ai tanti problemi del Paese; se in questi cinque anni in cui ha praticamente tutto il potere non riuscisse a dare un nuovo impulso allo sviluppo della società e nel caso in cui si riuscisse a trovare un altro leader carismatico... – tace. Poi aggiunge:- C’è, in seno alla nostra Collettività, chi sostiene che sono molto, forse troppo a favore del Presidente Chávez. Non è così. Non è vero. Non sono né a favore né contro il Capo dello Stato. Sono l’Ambasciatore della Repubblica italiana. Sono i venezuelani, gli italo-venezuelani che devono scegliere il loro presidente. Io semplicemente lavoro con il presidente che loro si sono dati; col presidente che loro hanno eletto. La posizione dell’Italia, lo ribadisco, è quella di tutti i Paesi dell’Unione Europea: finchè c’è democrazia, non si ha nulla da ridire. All’Europa non importa il regime che una nazione si dà. Importa, però, che ci sia democrazia; possibilità di alternanza nel potere e, soprattutto, che ci sia rispetto delle libertà individuali; dei diritti umani; della libertà di stampa, di espressione e così via... Fino ad ora ritengo, non solo io ma tutti i paesi dell’Unione Europea, che in Venezuela ci sia ancora democrazia.Una gestione diplomatica ricca di successo. Per tanti sì, ma non per tutti. Ed infatti, non sono pochi a considerare che, pur riconoscendo l’ottimo lavoro fatto dall’Ambasciatore nell’aiutare le holding italiane ad ottenere appetitosi appalti e nel rilanciare le relazioni commerciali tra i due Paesi, la Collettività imprenditoriale italo-venezolana non ha ricevuto dal diplomatico l’attenzione che meritava e si aspettava. Ragione sufficiente, questa, per chiedere all’Ambasciatore Carante:- Cosa resta alle aziende italo-venezolane della partecipazione delle multinazionali italiane nella costruzione delle grandi opere di infrastruttura? Come aiuta la presenza delle holding italiane le nostre aziende che, a causa della crisi economica e istituzionale hanno ridotto drasticamente la produzione?- Ricordo – risponde – che mio suocero, anni fa, mi diceva che gli dava tanto fastidio la carenza di infrastrutture nel paese. Non c’erano treni e le autostrade erano poche e piene di buche. Ritengo che dare una mano allo sviluppo industriale di questa nazione sia un aspetto positivo ed abbia un ritorno per tutti, anche per gli italo-venezuelani. Per quel che riguarda poi le imprese italiane lavorano molto meglio con le ditte italo-venezolane che con altre.- Non sempre è così. Non essendo questa partecipazione istituzionalizzata, molto dipende dalla sensibilità dei manager, di chi è a capo degli uffici delle holding in Venezuela. E non ci si meraviglierebbe se alla loro sensibilità non corrispondesse altrettanta dei loro capi-ufficio in Italia.- Sì, certo – ammette, per subito sottolineare che “i sub-appalti alle ditte italo-venezuelane sono un dato di fatto”. Sostiene che l’input che dall’ambasciata arriva alle grandi aziende italiane che operano nel Paese è quello di rendere partecipi dei lavori anche le aziende dei nostri connazionali, quelle fondate con tanto sacrificio dagli emigranti e oggi, in molti casi, rilevate dai figli.- Comunque – prosegue -, è il Governo italiano che discute con quello venezuelano. Lo Stato venezuelano, invece di firmare gli accordi direttamente con le multinazionali, preferisce passare attraverso l’altro Stato, lo Stato italiano. E cioè, l’Ambasciata. E’ questo che mi ha permesso contatti, e amicizie.Commenta che è parte dell’abilità di ognuno saper aggirare gli ostacoli così come far partecipare le aziende dei connazionali.- Per esempio - spìega -, quando sono arrivato mi sono accorto che la residenza era trascurata. Chi mi ha preceduto evidentemente non se ne era mai preoccupato. Forse non desideravano avere i muratori in casa. Io, invece, ho pensato ch’era opportuno fare le riparazioni necessarie. E per questo lavoro ho contrattato una ditta italo-venezuelana.Un grosso polmone finanziario, tante banche e capacità tecnologica. Ecco, è questo, nell’opinione dell’Ambasciatore Carante, un cocktail vincente; la differenza tra le multinazionali e le nostre imprese.- Lo Stato venezuelano, a volte – spiega -, non è puntuale nei pagamenti. Ha difficoltà di “cash-flow”. Quando questo accade, l’azienda ha bisogno della proprie capacità finanziaria per far fronte a impegni che a volte richiedono centinaia di milioni di dollari. Le aziende impegnate in grandi appalti hanno spese tutti i giorni. Devono pagare gli impiegati, ma anche i rifornitori. Ci sono materie prime indispensabili che non vengono consegnate se non si procede in anticipo al pagamento.Sottolinea, e lo fa con particolare enfasi, che le “ditte italiane hanno rischiato tanto; ci sono stati momenti in cui hanno dovuto procedere a esborsi per centinaia di milioni di dollari senza ricevere nulla dallo Stato venezolano”.- Questa è essenzialmente la ragione per cui si preferiscono aziende straniere – commenta - Queste hanno alle loro spalle un Paese e, soprattutto, banche. Possono permettersi di andare avanti per mesi nei lavori anche senza ricevere denaro.Spiega infine che quando promuove “la presenza di ditte come, ad esempio, Pirelli e Iveco, chi ci guadagna è soprattutto la Collettività”.- Certo – conclude -, le multinazionali ottengono grossi guadagni, ma anche la Collettività. Quasi tutti i dirigenti che ho conosciuto in Iveco, ad esempio, sono italo-venezuelani. E lo stesso posso dire di Pirelli. Ecco, questi sono i migliori esempi. (a cura di Mauro Bafile)

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