sabato 14 luglio 2007

"Eccoli qui”. Si apre la porta e appaiono i computer bolivariani. La ragazza che ci accompagna ha uno sguardo soddisfatto, il turista a questo punto- da copione- deve rimanere estasiato: così è. Wow. Il centro informatico popolare “rivoluzionario” è un capolavoro di modernità: spazi asettici, puliti, area condizionata al massimo (una fissazione tutta venezuelana). Qui non ci trovi nulla del Chàvez indigenista o terzomondista: al di là della retorica la rivoluzione vuole mostrarsi moderna secondo parametri “contemporanei”: nessuna critica al paradigma tecnologico occidentale, anzi, c’è il suo continuo inseguimento, nella perpetuazione di un Venezuela che quando vuole crescere non sa farlo in maniera costante, ma istericamente: come i prezzi del petrolio.
In fila quasi un centinaio di computer con schermo piatto, scuri, eleganti. Siamo nel 23 de enero, uno dei barrios più difficili e rivoluzionari di Caracas. Se c’è qualcosa di buono nella rivoluzione, è qui che lo devi venire a cercare. “Ne sono spuntati decine di centri informatici come questi, non si paga nulla, è per la gente, per tutta la gente” dice la nostra accompagnatrice. La marca dei computer è Vit (Venezolana de Industria Tecnologica), in Venezuela li assemblano le parti arrivano dalla Cina. La fabbrica si trova nella penisola Paraguanà, lontano da Caracas sfornano quasi 150 mila unità l’anno: tutto con software free.
I palazzoni del 23 de enero, nati con la dittatura di Marcos Perez Jimenez degli anni ’50, sono ancora oggi immersi nel degrado. La pittura li ha resi più colorati, ma se giri attorno vedi volare la spazzatura dai balconi: discariche a cielo aperto. Quando piove l’odore diventa insopportabile, un piccolo lago di spazzatura come distrazione per i bambini. Se lanci le pietre possono saltellare più di tre volte. “E’ vero- dice Juan Contrears, il leader rivoluzionario più importante- i problemi ci sono, sono zone umili, i problemi ci saranno sempre, è inutile illudersi”. Allora la modernità e la miseria dovranno andare sempre a braccetto anche con la rivoluzione? Così pare. “ Purtroppo- continua Juan- molte cose deve farle lo Stato, ma ancora non le fa, per questo noi con le nostre radio comunitarie gli stiamo dietro. Per esempio, qui ancora non hanno asfaltato, ogni giorno impugno il microfono e ricordo al sindaco: devi asfaltare, devi asflatare. E poi ci accusano di essere governativi. Ma che governativi! Qui critichiamo, e critichiamo tanto, credimi”.
Ma non sono bastate le critiche per risolvere i problemi del centro informatico rivoluzionario. “Perché non c’è gente al computer ?” chiediamo sospettosi. La ragazza non vuole occultare nulla: “Perché? Te lo dico io perché! Sono tre mesi che abbiamo un problema di corrente elettrica e il Ministero non è venuto ad aggiustarlo, dicono che per la fine del mese qualcosa cambierà.” “Ma è un problema di corrente, perchè chiamare il ministero?” insistiamo. “Loro devono risolverli, loro hanno costruito questo centro”. Nel frattempo i computer nuovissimi sono in attesa, uno stand-by insopportabile per i bambini che si accalcano nel cortile della radio per giocare con due scimmiette. E’ l’ennesimo paradosso: miseria e modernità convivono, ma quest’ultima col tempo viene assorbita dal degrado. “Però- si sbriga a precisare la ragazza- questo è l’unico centro informatico (infocentro) dove le cose vanno così, altrove tutto funziona a perfezione”. Anche Juan conferma: “Non dovete pensare che qui andiamo avanti solo con l’aiuto dello Stato. Qui arrivano fondi anche dall’estero, questa radio l’abbiamo costruita assieme ad alcune associazioni indipendentiste basche: se manca qualcosa lo mettiamo di tasca nosta, è sbagliata l’idea che tutto debba farlo il governo”.
Anzi, meglio che rimanga alla larga se viene per reprimere i movimenti di protesta, lo sostiene con forza sempreJuan: “Durante la cosiddetta democrazia rappresentativa la polizia veniva solo per reprimerci, ho visto morire tanti miei compagni, tantissimi, lottavamo per l’acqua, per diritti minimi, ma eravamo un problema, la polizia era corrotta, faceva accordi con i malviventi, sequestravano la pistola, se la rivolevi dovevi pagare un prezzo”. Ora la polizia com’è? “Continua a non piacerci, ma le cose vanno meglio”.

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