martedì 31 luglio 2007

IL SOCIALISMO DEL PETROLIO

Quando il presidente venezuelano vinse la prima volta le elezioni chiamarlo socialista avrebbe equivalso ad offenderlo. Gli abbracci con Fidel Castro facevano parte del copione anti-politico con cui lui, militare, puntava di vincere, ma di comunismo ne sapevo ben poco.
In realtà l’amicizia castrista avrebbe potuto essere anche un auto-goal, ma ci pensò poco e si lasciò trascinare dai sentimenti: il mito di Fidel ha accompagnato Chàvez fin dall’infanzia, quando a Sabaneta di Barinas, nella pianura venezuelana, vendeva a scuola le merendine che preparava la nonna . Lo confessa nel libro intervista Habla el Comandante di Blanco Muñoz: “Avevo solo 13 anni e sentivo per radio che Che Guevara era circondato in Bolivia. Ero un bambino e mi chiedevo: perchè Fidel non manda degli elicotteri a prenderlo. Ero solo un bambino, ma già mi identificavo pienamente con la sua causa”. Fidel, di 28 anni più grande, prima idolo poi “hermano”, ha per i venezuelani un significato particolare. Non solo ha ispirato la guerriglia degli anni ’60 (pacificata), ma ha costruito un paese, Cuba, sulla cui qualità della vita i venezuelani, di qualsiasi classe sociale, nutrono seri dubbi.
Nel 1999, in una interminabile conferenza stampa di undici ore Fidel, messo con le spalle al muro dalle domande dei giornalisti venezuelani, taglia la testa al toro: “Chavez non è in linea con la filosofia del socialismo e del marxismo”. E poi “non l’ho ma ascoltato dire una sola parola sulla voglia di creare comunismo in Venezuela”. Lo stesso presidente Chàvez lo sottolinea più volte. In Alò Presidente del 9 giugno 2003 sbotta: “Se fossi comunista lo avrei detto”.
Il suo governo però, in una strana scalata terminologica, ha cambiato pelle lungo il cammino. Prima bolivariano poi socialista.
All’inizio di socialismo o lotta di classe nessuno parlava, anzi ci fu un tempo in cui l’ex-tenente colonnello si dichiarò, negli anni rampanti del blairismo, quando ancora non era presidente, addirittura epigono della terza via. Ma al socialismo- giurano i suoi discepoli- c’è arrivato senza volerlo, costretto a barricarsi dentro una dottrina non sua, che però gli forniva strumenti ideologici e propagandistici per difendersi dall’oligarchia corrotta e affarista (vocabolario chavista). La sua vittoria nel 1998 non lasciava immaginare che sarebbe arrivato così lontano. Aveva vinto intercettando la voglia di cambiamento, dopo quaranta anni di democrazia di cui gli ultimi venti fallimentari, e giurando di spezzare in due i corrotti e gli inefficienti.
Oramai sono quasi 9 anni che sta al governo, e il progetto si è rivelato. Si chiama socialismo (del petrolio), costruzione dello stato socialista e dell’uomo nuovo. Una duplice combinazione che lascia intravedere il tentativo di voler prendersi una rivincita sulla storia: un secolo di esperienze comunista fallimentari.
Ma il Venezuela è diverso, possiede il petrolio, e soprattutto punta a far forza su alcuni elementi di grande innovazione. 1) La storia dei comunismi è stata fino ad ora bloccata nello schema della guerra fredda, ora invece la geopolitica favorisce alleanze più ardite 2) i fallimenti del comunismo reale sono una lezione di cui dovrà tener conto, quindi il suo comunismo dovrà essere diverso, o lui un pazzo 3) La rivoluzione dei mezzi di informazione, con la crisi dei mass media e l’avanzamento del network, dovrebbe portare a una duplice consapevolezza. Primo che è impossibile costruire il consenso controllando i flussi informativi o isolandosi, dunque converrà fare i conti con l’opinione pubblica internazionale. Secondo che essendo lo schieramento ideologico a lui affine all’avanguardia nell’indirizzare l’opinione pubblica on-line, dovrebbe avere più facilità a far passare i suoi messaggi “alternativi” e la sua verità. Ma questa è pura speculazione. Quei messaggi alternativi occupano quantitativamente la rete, ma difficile misurare l'effettivo grado d'incidenza.

Nessun commento: